Nel paese delle creature selvagge

Il ragazzino Max Records, dopo una lite con sua madre, scappa di casa e raggiunge un'isola abitata da delle strane creature.
    Diretto da: Spike Jonze
    Genere: fantasy
    Durata: 101'
    Con: Max Records, Catherine Keener
    Paese: USA
    Anno: 2009
6.2

Meraviglioso indie americano, “Nel paese delle creature selvagge” è un film tutto costruito sul suo protagonista: Max Records, una vera forza della natura (meriterebbe l’Oscar solo per la scena in cui balza sul tavolo della cucina gridando risoluto alla madre Catherine Keener “nutrimi, donna!”). Il film di Spike Jonze è una matura e scoordinata presa di coscienza di una sconfitta in atto, la consapevolezza di non far parte di un mondo avverso, pieno di orchi e streghe. Di conseguenza, è un film contro tutto e tutti. Senza distinzioni. Qualcuno ha definito “Nel paese delle creature selvagge” come “una terapia di gruppo insieme ai Muppets”. Ha azzeccato in pieno la definizione.

Il film di Jonze si basa sulla decostruzione narrativa che generò cose come il primo film di Jonze, Essere John Malkovich, ma anche Pulp Fiction di Tarantino. Una narrazione vuota che procede per accumulo. “Nel paese delle creature selvagge” mi ha, in particolar modo, ricordato altri due film sull’adolescenza inquieta: Il garzone del macellaio di Neil Jordan e La guerra di Mario di Capuano. Il primo film esce vincente dal confronto con il film di Jonze, la genialità di Jordan in quel film era corrosiva e coercitiva alla legittimità anarchica del suo protagonista, non meno pazzo del protagonista del film di Jonze. Invece, ad uscire quasi con le ossa rotte è proprio il film di Capuano. Perché? Probabilmente per un eccesso di realtà. Nel film di Jonze la realtà non esiste e si fa quasi fatica a mettere a fuoco il senso del film, perché la spregiudicatezza visionaria di Jonze riesce nell’impresa di far dimenticare anche le inesattezze, i vuoti di senso, le lungaggini, la quasi totale assenza di una vera e propria trama.

Rispetto al film Jonze il film di Capuano presenta una zavorra di contenuto che purtroppo distoglie dal “piacere” della visione: il contesto della mafia e dell’arretratezza socio/economico/culturale del Sud Italia. E contro questo “scarto” prima di tutto stilistico non ci si può fare niente. Il film di Jonze risulta senza senso e stupendo proprio per via della sua anarchia, quasi come il folle capolavoro di Jordan, il film di Capuano vuole fare i conti con la realtà, come una specie di Gomorra visto dal punto di vista di un bambino, e cade. Cade dal punto di vista dello stile, volutamente scarno e quasi rosselliniano. Mostrare senza dimostrare. Jonze e Jordan “dimostrano” di essere dei grandi cineasti, Capuano non dimostra un bel niente. E così facendo non riesce ad imprimere la sua firma nel film.

L’anarchia di pensiero (e di stile prima di tutto: vedere la splendida scena iniziale di “Nel paese delle creature selvagge”) non si può spiegare. E’ forse nell’ululato finale delle creature mentre salutano Max, vero Re in un mondo di nani.