Monuments Men

Seconda Guerra Mondiale. Frank Stokes è uno storico dell'arte, cui il Presidente Roosevelt dà l'incarico di formare una squadra che recuperi le opere d'arte trafugate dal Fuhrer, per riportarle ai legittimi proprietari.
    Diretto da: George Clooney
    Genere: drammatico
    Durata: 118'
    Con: George Clooney, Matt Damon
    Paese: USA
    Anno: 2014
4.9

A George Clooney va riconosciuto il merito di essersi saputo smarcare dalla figura ingombrante di attore/divo della Hollywood che conta, e aver imboccato una carriera registica non particolarmente proficua, ma degna di interesse.

Tramite uno stile narrativo asciutto e lineare, una regia raffinata e un gusto per l’inquadratura di certosina precisione, Clooney si è imposto con soli quattro film come autore neo-classico, capace di rielaborare i generi fondanti del cinema americano, attraverso una visione personale delle metodologie di narrazione e soprattutto della Storia del suo paese, sempre visto con sguardo critico e lucido.
Con The Monuments Men c’erano quindi tutti i presupposti perché Clooney, ritornato nel passato dopo la parentesi nell’attualità politica de Le idi di Marzo (2011), realizzasse un’altra opera riuscita, attraverso la storia vera dei Monuments Men, soldati non combattenti, ma esperti d’arte incaricati di salvare e ritrovare le opere trafugate dai nazisti, durante il secondo conflitto mondiale.
Tratto dal libro The Monuments Men: Allied Heroes, Nazi Thieves, and the Greatest Treasure Hunt in History scritto da Robert M. Edsel, purtroppo con questa pellicola Clooney sbaglia quasi tutto, deludendo forse più se stesso e le sue riconosciute abilità, che il pubblico in sé.
Coerentemente con il suo modo di fare cinema Clooney rifà il genere del war-movie, aggiungendoci questa volta lo stile della commedia; peccato che il tono del film sia totalmente schizofrenico: l’asse portante della storia è chiaramente la leggerezza e la commedia raffinata ma non ci si diverte mai, le scene sono allungate a dismisura, senza nessun peso narrativo.
Il punto più basso si raggiunge con la parte drammatica, che era sempre stata uno dei punti forti del cinema di Clooney, ma che in questo caso risulta mai così noiosa e priva d’interesse, con un inutile sovraccarico della messa in scena, e nell’utilizzo perenne della colonna sonora, tali da far sembrare Monuments Men peggio del più brutto sceneggiato televisivo italiano.
Un’involuzione artistica riscontrabile anche nell’organizzazione di un cast pieno di grandi nomi, la cui presenza sembra avere come unico scopo la mera capacità di attirare il pubblico, ma di cui non si avverte mai una reale necessità in funzione di un ruolo all’interno dell’ingranaggio narrativo.
I rapporti tra i personaggi sfiorano la goliardia, il clima è quello disteso e rasserenato della saga degli Ocean’s Eleven (2001): attori importanti e amici nella vita che si ritrovano a fare film insieme.
Se nella trilogia firmata da Steven Soderbergh quel modo di fare aveva un suo senso nel mood della trama, Clooney pare aver filmato una scampagnata tra amici e colleghi, ma ciò che sorprende in misura ancora maggiore nel film, è la totale mancanza di uno sguardo analitico e inedito sulla vicenda e sulla sorte di questi uomini.
Tutto in Monuments Men sa di già previsto e telefonato, nulla è ambiguo. Il film pone una sola domanda: la vita di un uomo vale un’opera d’arte? La risposta è sì per tutti i 110 minuti della pellicola, e viene ribadita in maniera pomposa anche nel terribile finale. Da sempre attento osservatore cinico dell’America, Clooney per completare il tracollo filmico abbandona anche questa peculiarità.
Qui gli USA sono i salvatori di tutti, ogni personaggio viene descritto in modo bonario e meritevole. E dispiace davvero vedere che la trappola della più infima retorica abbia catturato anche un attore-regista che ne è sempre stato lontano. Speriamo si tratti solo di un errore di percorso.

A proposito dell'autore

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20 anni, diplomato al liceo linguistico. La passione per il cinema lo ha travolto dopo la visione di Pulp Fiction. Ha frequentato un workshop di critica cinematografica allo IULM. I sui registi di riferimento sono Tarantino, Fincher, Anderson, Herzog e Malick. Ama anche anche il cinema indie di Alexander Payne e Harmony Korine. Oltre che su CineRunner, scrive anche su I-FilmsOnline.