Comma 22

Un pilota, durante una rischiosa missione dell'aviazione americana nel Mediterraneo, dopo aver visto morire uno a uno i suoi compagni, tenta in ogni maniera di farsi esonerare dall'incarico, fingendosi infermo di mente e tentando una fuga in Svezia.
    Diretto da: Mike Nichols
    Genere: commedia
    Durata: 122'
    Con: Alan Arkin, Martin Balsam
    Paese: USA
    Anno: 1970
7.2

Chi ha avuto l’occasione di vedere l’extra del dvd di Comma 22* (1970), quello dove, durante una visione privata dell’opera, il regista Mike Nichols viene spalleggiato dal più giovane collega Steven Soderbergh, in un botta e risposta che esalta e chiarisce sia tutte le vicissitudini produttive che i fuochi d’artificio dietro le quinte, capisce quanto il loro genuino divertimento sia segno dell’intramontabile freschezza di una follia congegnata ben 43 anni fa.

Tutto nasce da un libro di successo, Catch-22 di Joseph Heller, scelto da un regista di successo e tutto sembra prefigurare un altro exploit. Ma Nichols che all’epoca, successivamente a Il Laureato (1967), poteva avere carta bianca su qualunque progetto, si arrischia in un’opera piuttosto complicata da traslare sul grande schermo.
Il risultato ai botteghini è un flop colossale. I motivi sono svariati: per le magniloquenze coreografiche (basti pensare all’aneddoto che racconta come, con trenta veri bombardieri B-25 “Mitchell” a disposizione, il regista e la produzione fossero la quinta forza aerea al mondo), il tono allucinato non esattamente popolare e, non ultimo, l’uscita nelle sale dopo il grande risultato di un film simile, M.A.S.H. (1970) di Robert Altman.
La guerra è un inferno, e non vi è follia più grande di una burocrazia che ne gestisca la sarabanda: «”Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”.»
Questo è l’assurdo paradosso che invischia il capitano Yossarian in una situazione da incubo: il numero totale delle missioni compiute affinchè gli aviatori possano essere congedati aumenta di volta in volta, perseguendo le folli aspirazioni del colonnello Cathcart.
L’ansia e il terrore di una nuova missione lo portano a fingersi pazzo, a tal punto che non sa più dove finisca la simulazione e incominci la reale follia.
La trama non segue un ordine cronologico ma racconta il turbamento di John Yossarian attraverso la galleria dei suoi incontri con commilitoni e quadri superiori (che nel romanzo sono una miriade di caratteri e nel film vengono ridotti agli essenziali).
Il raccordo di ognuno di questi grotteschi quadretti di vita militare è l’epicentro dell’alienazione di Yossarian: durante una missione con i bombardieri avviene tra le sue braccia la morte cruenta di un camerata.
Nell’interpretazione, Alan Arkin presta la sua tavolozza minimale di espressioni ad una causa persa; la sua follia è una tangente laconica all’insensato. Ma tutti gli attori sono perfettamente a fuoco: lo psycho per eccellenza Anthony Perkins, Charles Grodin, Martin Balsam, il ‘Graduate’ Art Garfunkel, Buck Henry (brillante cosceneggiatore insieme al regista), un giovanissimo Martin Sheen, l’ex midnight cowboy Jon Voight, il mitico attore francese Marcel Dalio (La regle du jeu e Casablanca), Bob Balaban e, soprattutto, il generale Orson Welles, sono letteralmente una sgangherata, dunque perfetta, macchina da guerra.
Comma 22 è un film unico nel suo genere per svariati motivi. E’ una satira feroce, un racconto di guerra surreale, onirico, eppure concretamente viscerale, simile per certi versi a quello che cercò di fare Kurt Vonnegut nel suo Mattatoio n°5. Non vi è enfasi nel suo sognare, nel suo dislocare sentimenti e azioni in un’altra dimensione, anzi la pellicola viene costantemente riscaldata fino a quasi sciogliersi da una febbre materica che ha il suo focolaio in un direttore della fotografia straordinario, Dave Watkin, e alle disavventure di una genesi produttiva protrattasi per luoghi tagliati fuori dal mondo e tempi interminabili.
L’incredibile cast è realmente sfinito, snervato, destabilizzato da sei mesi di riprese in un luogo sperduto del Messico, in una base aerea completamente costruita per l’occasione, con la consegna, per la ricerca di un’illuminazione piena che coinvolga soggetto e sfondo, di riprendere ad una sola ora del giorno: le 14e45.
L’irrealtà della situazione e l’assenza emotiva non è più solo recitata, ma anche percepita dalle parti in gioco. Quando poi le riprese si spostano in Italia, a Roma, il film sembra assorbire per osmosi qualche cellula del grottesco felliniano, i contorni della storia sono più foschi, i personaggi ancor più disperati e dark.
Dal punto di vista prettamente visivo Catch 22 è un film semplicemente impressionante: alla bellezza di una fotografia naturale, un ‘en plein air’ continuato, che farà proseliti, si associa un Nichols particolarmente ispirato e sperimentale.
Lunghi piani sequenza che contemplano senza fatica due poli estremi: la coreografia leggera, la danza di una sequela di movimenti e dialoghi umani si contrappone allo spostamento pesante e ottuso di enormi bombardieri B-25.
L’uomo è piccolo, vulnerabile, coinvolto suo malgrado in una macchinazione più grande di lui. Un insetto rinchiuso in un barattolo di vetro. Come risulterà essere un’enorme trappola produttiva, per lo stesso Nichols, l’ambizioso disegno di questo film. Ma in questo caso non si può che essere eternamente riconoscenti alla sua grandiosa visione.
* Rimanendo nello spirito del film, è un’edizione speciale uscita per l’anniversario del 31° anno.

A proposito dell'autore

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Dopo una breve parentesi lombarda dedita al montaggio di film pubblicitari, torna nella sua terra, la Sardegna, per mixare questa volta dischi e suoni. Se potesse rinascere regista non sarebbe Pirlo, ma Billy Wilder o Joao ‘Vuvu’ Monteiro. La citazione che forse gli calza più a pellicola è: “Tu sei troppo serio, Orlando. E tuttavia non abbastanza”.