Joy

1990, Long Island. Joy Mangano è una giovane madre alle prese con i problemi di tutti i giorni. Un giorno le viene un’idea che rivoluzionerà la pulizia domestica: l'invenzione del “Miracle Mop” comunemente chiamato mocio. Grazie a questa trovata Joy diventerà una delle donne più ricche degli Stati Uniti.
    Diretto da: David O. Russell
    Genere: commedia
    Durata: 124
    Con: Jennifer Lawrence, Bradley Cooper
    Paese: USA
    Anno: 2015
5.8

Stabiliamolo: Joy di David O. Russell è un film da establishment hollywoodiano, in cui il talentuoso regista conferma il proprio trend, in leggero ribasso, di artigiano provetto e manifattore di storie brillanti, esagerando un po’ nel luccichio stilizzato e nell’affidarsi alla luminosità della star protagonista, Jennifer Lawrence. Non ci si annoia, ma come volevasi implicare la storia dell’inventrice del miracle mop – “mocio”, dalle nostre parti – funziona meglio quando si propone come corrosiva commedia surreale anziché come addomesticata parabola femminista.

joy2

Surreale, ad esempio, è il prologo di vago sapore lynchiano: la ripresa in bianco e nero di un gruppo di attori in una burrosa soap opera d’epoca, che s’indirizzano innaturali battute non tanto l’un l’altro, quanto a destra e manca, nel limbo televisivo in cui finirà, dopo travagli e battaglie, anche la protagonista Joy Mangano per vendere la super-scopa. È un mondo vagamente onirico, un carillon che gira come i set rotanti delle televendite – non a caso, presentate per lo più dalle stelle delle soap: truccatissime, agghindatissime, fintissime.

joy4

Lei, Joy, è vera, invece: madre single di tre figli, famiglia disfunzionale con madre pseudo-malata che vive a letto (vedendo soap, ovviamente), ex marito aspirante Iglesias che si esercita nei vocalizzi in cantina, padre divorziato un po’ svitato (De Niro, ancora ovviamente). La nonna è la sana matriarca che la incoraggia a seguire i sogni – tra truffatori, maschilisti e parenti bislacchi, anche acquisiti (la neo-matrigna Isabella Rossellini), ed insperati alleati (Bradley Cooper, smagliante e solidale manager televisivo). Si capisce, insomma, anche a raccontarlo, che l’effetto è un po’ quello di un voce che grida nel deserto, e per meglio intenderci, stile Lisa tra i Simpson.

JOY

Questi sono i Manganos, in effetti, insinceramente divertenti: si spiega così l’isolamento di Jennifer Lawrence e la virata di David O. Russell dal film corale allo scintillante assolo della propria versatile protagonista, circondata da freak e sagome da sit-com. Questo spiega, altresì, perché in fin dei conti, la mitizzazione dell’inventrice del mocio sia troppo ripulita per risultare convincente. Per quanto ammirevole, la statura del personaggio non poteva essere declinata in una storia con l’epica di una Erin Brokovich o di qualsiasi altra eroina da biopic. È stato forse meglio non prendersi troppo sul serio, ridacchiando di questa follia che striscia dentro la norma di un mondo alla Norman Rockwell: piace l’assolo della Lawrence, diverte la banda, ma l’effetto favoletta, inevitabilmente, non è poi così rock.

A proposito dell'autore

Avatar photo

Professore di storia dell'arte e giornalista pubblicista, professa pubblicamente il suo amore per l'arte e per il cinema. D'arte ha scritto per Artribune, Lobodilattice, Artslife ed il trimestrale KunstArte, mentre sul cinema, oltre a una miriade di avventure (in corso) da free lance, cura una rubrica sul quotidiano "Cronache di Salerno" ed in radio per "Radio Stereo 5".