Queen of the Desert

Agli inizi del ’900 la giovane Gertrude Bell, figlia di una ricca famiglia inglese, decide di sfatare le regole della buona società. Non rimane in Inghilterra per cercare marito, ma decide di intraprendere lunghi viaggi in Medio Oriente. Diventerà la più profonda conoscitrice di un mondo ancora sconosciuto ai più.
    Diretto da: Werner Herzog
    Genere: avventura
    Durata: 128
    Con: Nicole Kidman, Robert Pattinson
    Paese: USA, MAR
    Anno: 2015
4.8

Il cinema riflette sulla e la Storia quando le leggende che l’hanno creato appartengono oramai ad un passato dimenticato e mai più riproponibile. Questo e quello che Werner Herzog chiede al cinema oggi, al tempo in cui i simulacri del Mito vengono riproposti da più parti come l’effige di un’immagine che riflette solo il passato di se stessa (Revenant, The Hateful Eight). Queen of the desert rappresenta il punto limite del racconto classico. La sua linearità narrativa è una condotta morale di perfezione asfittica e delucidata in cui non si riesce mai ad approdare ad un snodo narrativo che segni un punto di svolta.

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La storia di Gertrude Bell è la storia dell’Occidente che si confronta con un Oriente affascinante, isolato dal mondo esterno e ancora del tutto sconosciuto. La figura di Nicole Kidman aleggia da protagonista di un romanzo di formazione di una donna assetata di conoscenza, che non arriva mai a far vibrare le corde di una conquista intellettuale. Herzog si concentra sui sentimenti ma il suo approccio documentaristico ne frena il pathos. Non è più tempo di grandi film d’atmosfera come Nosferatu o Fitzcarraldo, le follie del passato appartengono ad un mondo molto più povero e romantico. La Kidman assume su di sé la presa fantasmatica di una caratterizzazione che gli è sempre troppo stretta, rimanendone soffocata, sempre in attesa di una rottura dell’arco narrativo che non arriva mai.

Se la regia di Herzog è un monito politico di rara perfezione plastica, la scrittura rimane ai bordi dell’immagine, complementare ad un discorso in fieri che non si complica mai, rimanendo alla superficie delle cose. Il desiderio di Herzog, come di molti altri cineasti della sua generazione, nel rapporto con il cinema epico, è sempre quello di ri-fare Lawrence d’Arabia, il film che a suo tempo ipnotizzò Steven Spielberg. Herzog è da sempre un regista a suo agio con le imprese impossibili e con personaggi ai margini della società. Quella di Gertrude Bell è la caratterizzazione di una donna anticonformista e indipendente, l’unica donna che aveva capito il mondo dei beduini (come si dice nel finale). Basta questo a dare slancio al cinema herzoghiano? Il piccolo budget e il “riavvio” del suo cinema con opere quali The Wild Blue Yonder, Grizzly Man e Cave of forgotten dreams, aveva dato alla visione del regista tedesco una prospettiva inedita, facendone un cantore di mondi perduti come nessun altro in questi anni.

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Queen of the Desert non ha ambiguità, non suscita mistero e passione, non possiede alcuna selezione immaginifica di volti e prospettive inconsuete (rivedere The Way Back di Peter Weir per assistere ad un viaggio ai confini del mondo più avvincente). Possiede la magia di un viaggio esotico intrapreso da un anziano esperto di mondi perduti che non ha più nulla da dimostrare, con una grande star come Nicole Kidman ripresa come se fosse la Claudia Cardinale di Fitzcarraldo, ma senza il contesto “traballante” di quella straordinaria e irrazionale esperienza visiva. La storia di Gertrude Bell non aggiunge nulla a quanto fatto di originale fino ad ora da Herzog. Non si tratta di un brutto film o di una sbruffonata autoriale, s’insinua tra le pieghe di un discorso già affrontato altre volte e con esiti di ben altra grandezza. Herzog rimane un grande regista e la Kidman rimane più che un’attrice, un’apparizione fantasmatica senza alcun peso specifico. Ma entrambi svolgono il loro onesto lavoro senza sbavature.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).