Sucker Punch

Baby Doll viene rinchiusa in un istituto psichiatrico dove, per fuggire ha bisogno di 5 oggetti. Troverà la collaborazione di altre quattro detenute.
    Diretto da: Zack Snyder
    Genere: fantasy
    Durata: 110'
    Con: Emily Browning, Abbie Cornish
    Paese: USA
    Anno: 2011
3.8

Hollywood ha finalmente lasciato lavorare in pace Snyder, gli ha dato carta bianca. Il risultato è un’opera in cui il regista può dare libero sfogo a tutta la sua anarchia visiva, conducendo lo spettatore in un universo parallello in cui tutto è doppio.
L’uso degli effetti speciali è invasivo, arrogante, kitsch, furibondo. Sucker Punch si situa in quella ristretta cerchia di cine-visione oltranziste come Moulin Rouge! di Baz Luhrmann, Inception di Christopher Nolan, Antichrist di Lars Von Trier.
 

Puro cinema immaginifico. Sembra la raffigurazione di una post-apocalisse coloratissima ed estrema, Sucker Punch porta fino in fondo l’ossessione del suo cinema e delle sue eroine, ne sposa la morale, rivendica il suo statuto di opera satura, colma fino alle viscere di un’urgenza infernale di cinema devoto alla distruzione e alla costruzione di un’architettura visiva più che visionaria che lascia interdetti. Argomento femminilità/femminismo:i tempi dei Rocky, Rambo, Commando, sono finiti, adesso la donna-ragazza che va in guerra, sfracella mascelle e testicoli.
E’ la donna che si impadronisce del suo essere cosa vita e altra/altera nel momento in cui immagina di essere cosa altra a se stessa. Questa è una (ce ne sono decine) delle possibili vie di definizione del senso in un’opera corposa, segnica, ultra-sensoriale come questa personalissima operazione di digitalizzazione del cosmo visivo del/nel femminino.
 
Il femminino di Snyder si produce in un’orchestrazione della fuga dalla prigione umana/mentale/filosofica intesa come trip lisergico da cui comunque non si esce. Niente più ralenty reazionari (300), nichilismo retroattivo (Watchmen, illustrazione para-para della graphic novel di Alan Moore), gingilli in 3D per bambini (Il regno di Ga-Hoole), finalmente Snyder ha avuto la possibilità di fare del suo cinema una ricognizione nella post-classicità dell’immaginario odierno.
I puristi si tengano alla larga, la visione totalitaria non lascia scampo a vie di mezzo. Con Sucker Punch ci si trova a bordo di un treno che sfreccia a 200 km/h contro un burrone. Chi vuole salire conosce i rischi cui va incontro e sale consapevole, chi no sa solo che avrà scampato un bel rischio di frasi seriamente del male.
Sucker Punch non concede tregua. E si prende maledettamente sul serio! Perché non dovrebbe farlo? Bisogna andare comunque fino fin fondo se si vuol scoprire un’etica cristallina della visione. Senza compromessi.
Baby Doll apre/chiude i suoi occhi marroni e immagina/sogna il film che stiamo vedendo: Sucker Punch. L’affabulazione di Snyder inizia dove l’empirismo eretico di Baby Doll prende piede. Così l’immaginario el regista di Watchmen si aggiorna, come se facesse un continuo download di informazioni, oggetti, diari, ragazze in stile burlesque con mitra-kalashnikov-sciabole d’oro, passaggi spazio-temporali interrotti da raffiche di spari provenienti da altri pianeti. Tutto Sucker Punch è una giostra dell’immaginario, e Baby Doll deve riuscire a districare la propria percezione in questo groviglio di materia post-umana.
Film profondamente plastico quello di Snyder, rifiutato dalla critica sia italiana che U.S.A. per la sua totale devianza di fondo, per la sua illogica follia visiva, per la sua tenera e informe goliardia immaginifica.
Snyder mostra tutto, con la sua lente deformata si immerge nel suo immaginario e in altri immaginari producendo scarti di tensione, amalgama di passioni e funeste operazioni di chirurgia compositiva attraverso un montaggio fatto di ellissi e scatti continui. Nulla deve quadrare nella forma mentis di Baby Doll, perché è il suo inconscio che lavora spedito come una razzo.
Entrare dentro la giostra visiva di Sucker Punch è come prendere un treno in corsa che sta sfrecciando verso un muro ad una velocità pazzesca. La sensazione è la stessa. Per Baby Doll la forza di gravità non esiste. Emily Browning offre un’altra magnifica performance, dopo quella di Lemony Snicket Una serei di sfortunati eventi , in cui interpretava Violet Baudelaire. I suoi occhi fingono la non finzione, ovvero la realtà della finzione, il fittizio come angolo sperduto della memoria.
Se il cinema è il corpo svelato del cinema, allora Emily Browning è la voce dello svelamento ultimo di una prospettiva altra, ancora da scoprire.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).