300

Leonida, Re spartano, guida nella battaglia delle Termopili, 300 soldati, per fronteggiare l'armata persiana.
    Diretto da: Zack Snyder
    Genere: storico/azione
    Durata: 117'
    Con: Gerard Butler, Lena Headey
    Paese: USA
    Anno: 2006
4.9

Siamo immediatamente dalle parti di un futuro imprecisato. Zack Snyder non fa sconti sulle ascendenze millenarie della sua apologia corsara e ammanta la sua opera-rock, 300, sulla Battaglia delle Termopili, di un afflato nefasto, pesantemente negativo e antidialettico, sprofondando il proprio cinema in un buio della ragione, un susseguirsi di immagini ciclopiche e anfitrioniche, disumane rappresentazioni di un mondo allo sfacelo.
Un messaggero di Serse il Dominatore è incaricato di riferire al Re degli spartani, Leonida, che Serse è disposto a concedere loro terra e acqua in cambio della loro sottomissione al suo volere. In risposta a questo insulto, i 300 spartani si imbarcano nella “bella morte” di mazzantiana memoria.

Quindi, secondo lo stile registico di Snyder l’intera raffigurazione della marcia verso la sanguinosa battaglia viene ripresa da una mdp perennemente affossata nei sentimenti ipermuscolari dei personaggi-figure, questi guerrieri automi, più simili a macchine da devastazione che a uomini soggetti a rimorsi o dubbi.
Il cinema che si evolve in 300 è estremamente sensuale, erotico a 360°, quasi fosse l’emanazione di un liquido seminale che avvolge l’intera grancassa wagneriana del sudiciume della morte e dell’odore dell’oro mischiato allo zolfo di un cuore impavido che non sente alcun bisogno di indietreggiare davanti a nulla.
E’ questa mancanza di dialettica che, non essendo affatto considerabile come un errore dello script, può essere considerato come la zona limitrofa in cui risiede un’operazione abominevole come quella di 300. Siamo di fronte ad un horror vacui dell’immagine, ad una manifestazione dell’estetica esteriore che chiede una presunzione d’innocenza davanti allo sguardo giudicante dello spettatore, per poi chiedere definitivamente un’approvazione indiscussa davanti alla sopraffazione dello scontro inteso come unico Dio rivelatore di un senso ormai perduto.
Tutto 300 vive di quest’ansia verso il delirio apoplettico-apocalittico, rimanendo un cinema che detiene l’angoscia del filmare come atto terroristico puramente desueto dalla rigenerazione dell’immagine.
In pochi come Snyder hanno avuto la perspicacia di generare un simile funerale dell’immagine, facendone stridere all’inverosimile i connotati, uccidendone la forma, catturandone le pura essenza, cogliendo quello che è il dilemma della post modernità: come fare a meno di una storia?
Snyder lo sa bene che tutto quello che viene raccontato in 300 non è vero e allora tende all’accumulo di elementi estatici, donando ridondanti risonanze cosmiche al corpo dell’immagine, come servisse a trasformarlo in un siluro contro l’occhio dello spettatore smaliziato: Snyder ha l’arroganza di far tornare allo spettatore la verginità dello sguardo.
Dà fastidio 300, è un film che irrita non per difetti della sua struttura, ma perché si ostina nell’idea di un cinema non cattedratico, un cinema totale, che prende l’estetica fascista basata sulla triade Dio-Patria-Famiglia per esplicitarne i contenuti, in una visualizzazione affabulatoria che vinca la perenne ansia di estrapolazione di un contenuto da una matrice conservatrice che altro non fa che ripete se stessa.
Snyder in questo senso tenta un’operazione controriformista e tellurica, chiedendo allo spettatore una chiara presa di posizione nei confronti della violenza e della necessità della guerra.
In 300 la guerra è il simbolo stesso della vita, della fedeltà nei confronti di una disciplina che è arte, tenacia, orgoglio.
300 simula un cinema che non c’è mai stato, si ritrova in un contesto produttivo perennemente antistorico, perché nessuno ne ha capito la necessità di cambiamento.
Snyder decide il cambiamento supremo: quello di inquadrare la morte con il ghigno di chi ha capito che la si può vincere attraversandola in tutti i suoi più oscuri meandri. Forse è vero, non si tratta più di cinema, qui siamo dalle parti di una fascistizzazione dell’immagine, di una forsennata rincorsa verso il recupero di ideali di cui la Storia ha denunciato la irrimediabile fine.
Il cinema di Snyder riporta in vita ciò che non è più, 300 ne è la prova più eclatante, vero e proprio banco di prova per Sucker Punch, dove l’immagine verrà resa plastica, aperta, racchiusa in un vortice di rovine color lava incandescente. E’ l’inizio dell’era Snyder, il predominio della Forza e della Potenza dell’immagine sulla necessità del verbo chiarificatore. Che si tratti di una convergenza temporale?

A proposito dell'autore

Avatar photo

Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).