Nel 1947 Robert Montgomery girò un giallo in cui lo sguardo dell’ispettore Marlowe coincideva costantemente con quello del pubblico: l’intento, mancato e rimasto naturalmente senza seguito, era quello di permettere un’identificazione privilegiata con il protagonista attraverso uno stile narrativo del tutto inconsueto (a conti fatti inevitabilmente disagevole).

HARDCORE HENRY

Quasi 70 anni dopo il russo Ilya Naishuller esordisce nel lungo con un’opera perlomeno accostabile a Una donna nel lago, ma edificata su una ragione del tutto incompatibile: non interessa più l’immedesimazione sentimentale, perché l’elemento fondativo di “Hardcore!” non è certo costituito dagli abissi dell’interiorità. È ben più facile entrare in quell’empatia ludica, meglio ancora video-ludica, che evidentemente sta particolarmente a cuore a chi ne risulta accreditato in qualità di ideatore. Ognuno di noi può essere Henry, un uomo riportato al mondo dai prodigi della biomeccanica ed equipaggiato per essere un valoroso e gagliardo combattente, non senza un oscuro motivo gettato in una missione sparatutto, dove il confine tra lecito ed illecito, amici e nemici, è tutt’altro che netto.

Il soggetto stesso, eccessivamente intricato per le aspirazioni insite nel format e a motivo di ciò goffo da un lato, carente, illogico, refrattario anche alla più ovvia (e però fondata) spiegazione dall’altro, fa sì che si dia avvio ad una carneficina senza capo né coda, priva di un lucido scopo, dettata da mutevoli rapporti di convenienza imposti a loro volta da regolari, effimere epifanie che sciabordano senza posa l’afasico Henry. Fra queste, il puntualmente inafferrabile villain della situazione, biondo crudele e onnivedente, inesplicabilmente animato da una “Forza” alla Darth Vader, che procrastina la morte del suo avversario (è plausibile) per permettere al film di mostrare nuove prodezze e nuove location poste in una non così sensibile ascesa verso il tradizionale scontro finale.

A completare l’estetica da videogame sono delegati effetti speciali di buona fattura (eccezion fatta per una singola sequenza degna di un B-movie, pure sacrificabile) e il commento musicale in tutto simile ad una playlist da video-chat, piccola apoteosi di un influsso extra-diegetico marcato ed elementare. Il fiore all’occhiello di quest’action smodato e sbozzato appare a sorpresa la regia di Naishuller, ostinatamente indiavolata e ben architettata per quanto concerne la costruzione di un gran numero di scene complesse, violente e dinamiche, sostenute da una sceneggiatura apprezzabile per la maggiore, venata qui e lì di macabro umorismo. Un esempio che non andrebbe trascurato, per quanto calato in un microcosmo debole e inaffidabile, in cui impera più che altrove il maschilismo e la leggerezza di fronte i molti gratuiti sacrifici di vite umane.

A proposito dell'autore

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Classe 1995, in anni recenti si è incontrovertibilmente innamorato del cinema, interessandosi a qualunque genere di qualsiasi epoca, ma senza mai perdere la bussola della qualità artistica. Frequenta il DAMS a Padova e cura un suo canale YouTube di critica cinematografica, "Il taccuino del giovane cinefilo".