Elvis

Il manager di Elvis Presley, Tom Parker, soprannominato “Il colonnello”, poco prima di morire rievoca la storia della sua più grande creatura, da lui scoperta quando ancora era sconosciuta: Elvis, che tra gli anni ’50 e i ’70 diventerà The King e costruirà un mito sul quale tutta l’America dell’epoca si rispecchierà.
    Diretto da: Baz Luhrmann
    Genere: biografico
    Durata: 159
    Con: Austin Butler, Tom Hanks
    Paese: Australia, USA
    Anno: 2022
7.9

Ho visto Elvis di Baz Luhrmann in una delle mini sale della catena Uci e lo spettacolo della semi desertificazione provocata dalla quasi totale assenza di pubblico è un colpo difficile da dimenticare. Le visioni dei precedenti film di Luhrmann avevano avuto sia per Moulin Rouge! (2001) che per Australia (2009) ben altra accoglienza. Ricordo sale se non piene, quasi. Mentre per Il grane Gatsby nel 2013 ho un ricordo più sfocato e non feci caso al pubblico. E questo dato conferisce il lustro al devastante Zeitgeist della “battaglia per le sale” e di solito, giustamente, si dà la colpa di tutto a Netflix e a cose come Stranger Things, accusate di togliere spettatori al cinema. In realtà i veri killer sono la pandemia (paura) e l’inflazione (diminuito potere d’acquisto).

Fatta questa doverosa premessa, si passa al film. Elvis è il primo (purtroppo? ormai tutti lo fanno) film biografico di Luhrmann. Ovvero: quando non hai più niente da dire fai un biopic? In tempi non sospetti anche Eastwood e Mann lo fecero rispettivamente con il sassofonista Charlie Parker e il pugile Alì. Con un biopic in mano sempre che un regista non debba sforzarsi di far nulla, perché il film si fa da sé. Eppure Elvis resta un notevole esempio di cinema di lusso. E la mancanza degli spettatori in sala è abbastanza bruciante, perché un simile spettacolo andrebbe fruito in massa.

Forse per Luhrmann Elvis è l’erede di Satine/Nicole Kidman, perché i due personaggi hanno la stessa identica dirittura narrativa e drammatica. Ascesa e caduta di due vedette, due stelle del ballo e del canto. Solo che il primo era reale, quindi c’è un forte attaccamento a fatti realmente accaduti, invece la seconda è (per fortuna?) totalmente fittizia, una creazione effimera e ultra finta (rileggere il fondamentale De Bernardinis sul Segnocinema dell’epoca n.111), capace di sostenersi per pura forza d’immaginario, senza dover dire per forza “è realmente accaduto, quindi sei obbligato a crederci”.

Elvis è anche la cosa più equilibrata che abbia mai fatto un cineasta allergico agli equilibri dello script, essendo un artista barocco Luhrmann ha sempre concepito il cinema come surplus di un’idea già nota, creando mondi narrativi a rotta di collo. Stavolta con Elvis dirige un film spettacolare ma piuttosto sobrio, dove la spettacolarità è sempre stemperata da una circolarità narrativa mai vorticosa. Che sia una mancata fede nel fare cinema senza rete di sicurezza? Oggi continuare a fare cinema in modo così classicheggiante, davanti agli strilli sempre più violenti e contagiosi della serialità televisiva è una cosa quasi eroica. Io mi accontento. E poi i film sbagliati/inutili sono un’altra cosa: C’era una volta a Hollywood e Licorice Pizza sono ricostruzioni d’epoca dove la nostalgia è l’approdo definitivo, in Elvis Luhrmann ricostruisce epoche passate per creare una storia, le sue scenografie non hanno nulla di nostalgico.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).