Crimson Peak

Edith Cushing è una giovane benestante che coltiva ambizioni letterarie. Dopo la strana morte del padre decide di partire con un uomo che conosce appena, ma che la fa una corte spietata. Quando entra nella dimora che lui divide con la sorella, inizia a percepire strane presenze.
    Diretto da: Guillermo del Toro
    Genere: horror
    Durata: 119
    Con: Mia Wasikowska, Tom Hiddleston
    Paese: USA, CAN
    Anno: 2015
6.8

La psicopatologia è materia ardua per il cinema. Forse si avvicina più alla letteratura, al saggio analitico, alla dialettica intorno  all’equilibrio tra sano e insano, dove si cerca di trovare un bilanciamento in una teoria poggiata su solide basi scientifiche. Ma al cinema si è liberi di barare, di creare mondi alteri e disconnessi, di dissimulare identità che si celano dietro giochi di specchi multipli senza soluzione di continuità.

Crimson Peak

Guillermo del Toro con Crimson Peak risponde alla domanda “fino a che punto si possono citare gli horror della Hammer” ?Senza fare citazionismo spiccio, del Toro crea una dimensione alternativaa quanto di fatto finora da Tim Burton e imprime al propio cinema una svolta veramente consapevole ed esteticamente legittima. Quello che viene fuori è un film impegnato e spettacolare, che lascia una contrita aria di angoscia negli occhi, dove il dolore non arriva a scalfire solo il materiale eterogeneo di una scenografia che sembra parlare da sola, ma imprime gli sguardi dei due protagonisti, Jessica Chastain e Tom Hiddleston, che si caricano il peso di sostenere la dimensione fantastica del telaio narrativo, garantendo performance distaccate e cristalline, con una forza elastica ammirevole. Mia Wasikowska è l’ago della bilancia tra i due contendenti, la preda che attende il disvelamento delle identità, che poi porterà ad una risoluzione che si prefigge come perfetto incastro tra demoni mentali e lotta per la sopravvivenza.

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Il mélo che emerge di conseguenza, è del tutto furibondo e fuori controllo. Del Toro lo usa all’inizio distillandone gli elementi a poco a poco, per poi lasciarlo andare a ruota libera, quando le carte si scoprono e la narrazione diventa una sequela concitata di eventi dove tutto esplode e i ruoli sociali saltano. E’ la parte dove il citazionismo non tiene più, il sentimento si fa strada e lo spettatore è libero di patteggiare per chi vuole, essendo messo a nudo davanti all’evidenza del fatto. Il contesto della Grande Dimora Spettrale coincide con quello di un passato che riaffiora nelle fotografie in b/n. Le loro vite sono echi di sangue che macchiano la Storia e la storia, lasciando segni indelebili che macchiano le anime dei vivi.

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Crimson Peak si rivela arduo nella perspicacia narrativa ed estetica, quando non addirittura al limite del kitsch (ma del tutto inventivo e nutrito di sana ingordigia visiva adolescenziale), dimostra l’identità ancora indipendente di del Toro, che dopo aver fatto lavorato per la major con il franchise di Hellboy e il capitolo furente e radioso di Pacific Rim (vero e proprio coacervo di stili e modalità robotiche, controcampo romantico del franchise di Michael Bay), si può permettere con grande disinvoltura una stilizzazione iperrealistica sulla falsariga de El laberinto del Fauno.

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La dove il fantasy del 2006 rimaneva un “ho ritrovato il libro delle fiabe di 50 anni fa e mi diverto a (ri)sfogliarlo”, il seguito del 2015 raggiunge il sublime con una struttura a cerchio (il film inizia e finisce con Mia Wasikowska che recita “i fantasmi esistono”) che delimita la perfetta catarsi di un moto attivo discendente, dove alle viscere del mélo corrisponde il grido di dolore di un passato continuamente rievocato e ribollente delle memorie di una Storia sepolta, ingorda di vendetta. Allora la morte in Crimson Peak viene posta in prospettiva e adulata, ci si ammazza come cani, come ai bei tempi degli horror di Roger Corman, senza tanti complimenti e con una liberta da “fracassa ossa” che agghiaccia. Il film infatti è tutto nelle mani della Belva Jessica Chastain, vera vipera da romanzo gotico, protagonista di un menage a trois senza via d’uscita. Mia Wasikowska, pur con l’incanto della sua luce eterea sfigura di fronte alla bellezza sovrumana della Chastain, qui all’ennesimo ruolo cult. Da un regista come del Toro non era lecito attendersi un film così pesante e per certi versi indigeribile. Finalmente.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).