Maleficent

Alla cerimonia di battesimo per la nascita della Principessa Aurora si presenta la stega cattiva Malefica, che scaglia una maledizione sulla neonata. Aurora in seguito cresce protetta dalle tre fate, che la accudiscono come una figlia. Ma ben presto dovrà fare i conti con Malefica.
    Diretto da: Robert Stromberg
    Genere: fantasy
    Durata: 97'
    Con: Angelina Jolie, Elle Fanning
    Paese: USA
    Anno: 2014
5.6

Forse l’aspetto che meglio si concilia con l’immaginario fantasy disneyano dell’originale datato 1959, è l’assenza di una frammentazione insita al quadro, nella dialettica tra analogico-digitale, così da conferire un aspetto del tutto omogeneo all’operazione di restyling del classico Disney. In Maleficent lo yes man Robert Stromberg, scenografo assoldato per operare agli ordini della major, si adopera nella ricostruzione di una rivalità che non riguarda più la strega cattiva e la fanciulla che si punge con la punta di un arcolaio, bensì concerne una sfida tutta interna al gender, tra Malefica e il perfido Re assetato di potere. Quest’ultimo, infatti, per conquistare il trono, toglie alla strega le ali, togliendole così l’immenso potere.

Questo è il plot narrativo, ri-codificato intorno alla favola originaria del ’59. Hollywood ha imparato negli ultimi 5 anni, soprattutto nel solco di Alice in Wonderland (2010) a riprendere immaginari sepolti negli scrigni della Disney classica, rimodellandoli intorno ai gusti delle nuove generazioni, che come ben si sa, sono nutrite dai videogiochi, la televisione e i videoclip di Mtv. Questo immaginario è pre-esistente al quadro di riferimento e non ci si può far nulla. Il cambiamento, la mutazione iconografica è avvenuta, l’unica cosa che gli executive di Hollywood possono fare è assecondare una tendenza che punta alla riproposizione dei vecchi modelli sulla scala ben più ampia del bigger than life, dove tutto viene amplificato, in nome di una spettacolarità senza più freni.
D’altronde, questo è reso possibile dal fatto che le major hanno a disposizione un sistema di effetti speciali, che decenni fa non avrebbero mai potuto neanche sognare. Il digitale cambia la prospettiva del cinema, mortificando il movimento della mdp, donando ai volti prospettive auliche e indefinite, cogliendo voli da strapiombi densi di magia, come se ci si trovasse in un ottovolante delle meraviglie.
Il sogno dell’ipervisione iperuranica coglie di sprovvista lo spettatore, che si trova catapultato in un universo del tutto eleggibile come magma di forme primordiali.
La digitalizzazione riesce là dove l’occhio nudo del regista non potrebbe mai arrivare. I personaggi si stagliano come sagome inanimate su fondali, dipinti da un’intelligenza artificiale comandata dall’uomo; l’ibrido digitale-analogico fonde la sua connotazione iconografica nella stridula mutazione elettronica, dove il nudo prospetto fantasy agisce come stampo per una raffigurazione mai vista di demoni, ombre, presenze e riflessi di forze oscure.
La sagoma di Angelina Jolie diventa così teatro carnale di una disputa eterna tra digitale (finzione) e analogico (realismo), dove l’analogico soccombe sempre alla definizione di una dimensione ultraterrena, che esaudisca sempre il desiderio più estremo dello spettatore: essere un tutt’uno con i personaggi creati da universo-cinema, che si estende in quanto tappeto visivo semi-trascendentale.
L’esperienza quindi toglie importanza alla parola, allo script, diventando solo un’ulteriore variazione dal programma prestabilito dalla Casa Madre Hollywood. Fare un cinema dove l’essenza stessa del colore sia escamotage estetico per far digerire ogni menzogna possibile ad un pubblico in perenne surplus emotivo, davanti allo spettacolo sontuoso che gli si dipana davanti, come un ghigno eterno. Maleficent non sfigura mai nel suo obiettivo di entertainment sovrano, si guadagna il suo posto nel novero dei grandi spettacoli Disney, nuotando nell’ovvio, sorprendendo sempre con una nota di malinconia, che forse decreta la fine dell’immaginario a scapito del puro e semplice puntellamento del pixel.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).