Tilda Swinton è un’attrice ubiquitaria. Difatti, ben poche altre Star sarebbero capaci di passare da Le Cronache di Narnia Il leone, la strega e l’armadio (2005) a L’uomo di Londra (2007) di Bela Tarr, due produzioni agli antipodi in tutti i sensi.

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L’attrice londinese classe ’60, esordisce giovanissima negli anni ’80 con Derek Jarman, uno dei più importanti registi queer della storia del cinema, che la scopre e la inserisce nel cast di 8 suoi film, compresi gli ultimi, (poco prima di morire di AIDS): Caravaggio (1986), Aria (1987), The Last of England (1988), War Requiem (1989), The Garden (1990), Edoardo II (1991), Wittgenstein (1993), Blue (1993). Tra questi, uno dei più notevoli esperimenti di cinema teatrale nel solco del genere queer è sicuramente Edoardo II, dove Jarman affronta il tema dell’omosessualità nell’Inghilterra del 1325, dove il debosciato sovrano Edoardo II trasforma il Regno in un sordido bordello a seconda dei suoi gusti sessuali alquanto licenziosi e libertini. La messa in scena è fredda, caustica, ribollente delle ossessioni dell’autore e Tilda Swinton, nel ruolo della moglie di Edoardo II, emerge come spettro vendicativo e letale. E’ già una performance da applausi, da parte di un’attrice che manterrà sempre, per tutta la sua carriera, un alto profilo sulle scelte dei registi e dei copioni, scegliendo sempre ruoli all’altezza dei suoi primi film.

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Negli anni ’90 la Swinton è protagonista di uno dei più curiosi exploit estetici del decennio: Orlando di Sally Potter, tratto dall’omonimo romanzo di Virginia Woolf, incentrato sul tema dell’ambiguità sessuale, dove un nobile del ‘500 passa dal regno della Regina Elisabetta (1533-1603) dove si innamora di una principessa Russa, fino al regno di Guglielmo I (1689-1702), fino a quando si trasforma in una donna. La bellezza aliena, vagamente ermafrodita, della Swinton viene immersa nel contesto del cinema in costume, in un quadro visivo estremamente suggestivo (grazie soprattutto agli sfavillanti costumi di Sandy Powell) che si discosta da un certo tipo di cinema in costume che andava all’epoca, ovvero le tragicommedie grottesche in costume firmate da Peter Greenaway. Dopo aver partecipato agli ultimi due film di Jarman, Wittgenstein, ricostruzione simil-teatrale della vita del celebre filosofo inglese e Blue, vero e proprio film-commiato, esperimento visivo allucinatorio e provocatorio, dove il grande regista racconta, in uno schermo perennemente blu, la propria malattia, attraverso un fitto dialogo con i suoi collaboratori più stretti, tra cui appunto, la Swinton.

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Alla fine degli anni ’90 l’attrice interpreta un ruolo da coprotagonista nella biografia del pittore Francis Bacon, in Love is the Devil (1998), diretto da John Baybury, a fianco di Derek Jacobi e un giovane Daniel Craig. Agli inizi degli anni ’00 l’attrice compare in piccoli ruoli da caratterista in kolossal hollywoodiani come The Beach (2000) di Danny Boyle, Vanilla Sky (2001) di Cameron Crowe; ne Il ladro di orchidee (2002) di Charlie Kaufman in Young Adam (2003), torbido thriller scozzese, è invece protagonista principale a fianco di Ewan McGregor;  in seguito si ritaglia piccoli ruoli nella commedia Thumbsucher Il succhiapollice, in Constantine a fianco di Keanu Reeves e in Broken Flowers di Jim Jarmusch, quest’ultimo è un regista con cui in seguito tornerà a lavorare.

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Con il ruolo della Strega Bianca del primo capitolo de Le Cronache di Narnia che la carriera della Swinton acquista una svolta. Nella mega produzione fantasy l’attrice offre una straordinaria performance, grazie al tono luciferino e al piglio aristocratico. Il film non funziona affatto, è troppo lungo e soffre dei soliti problemi di cui soffrono la maggior parte dei blockbuster di Hoollywood dagli anni ’00 in poi: durata smisurata ed eccesso di effetti speciali. Ma l’operazione-Narnia è salvata dalla presenza della Swinton. Dopo il kolossal fantasy la carriera della Swinton spicca il volo e dopo una fugace presenza nel film in b/n di Bela Tarr L’uomo di Londra (2007, vero e proprio cristallo autoriale, presentato a Cannes in Concorso nel 2007), l’attrice vince l’Oscar come miglior attrice non protagonista per Michael Clayton (2007) di Tony Gilroy. E’ una performance calibrata quella della Swinton, in un thriller politico senza tanti fronzoli, bagnato dalla luce fredda di Robert Elswit, che scava nei volti e nella psicologie dei personaggi per rivelarne le meschinità. E’ il grande cinema americano classico, neanche troppo originale, ma quanto basta per conquistare ammirazione e applausi.

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In seguito la Swinton sarà protagonista delle più svariate produzioni a metà tra Hollywood indipendente e big production, sempre adorata dai più grandi registi ormai consolidatisi come autori a tutto tondo: da Burn after Reading A prova di spia (2008) dei Coen a Il curioso caso di Benjamin Button di David Fincher, fino allo straordinario e non capito The Limits of Control (2009) di Jarmusch, Io sono l’amore (2009) di Luca Guadagnino, Moonrise Kingdom Una fuga d’amore (2012) e Grand Budapest Hotel (2014) di Wes Anderson, fino agli ultimi Solo gli amanti sopravvivono (2013) ancora con Jarmusch, lo straripante Snowpiercer (2013) di Bong Joon-Ho e la fantascienza distopica fuori tempo massimo di The Zero Theorem (2013) di Terry Gilliam, capita forse solo dai fan più accaniti del regista.

Tilda Swinton and Mia Wasikowska, in Jim Jarmusch's Only Lovers Left Alive

Il prossimo film dell’attrice inglese sarà la nuova versione di Piccolo Cesare, rivista attraverso l’occhio neo-classico, destrutturante dai fratelli Coen: per la Swinton si prevede un altro piccolo ruolo, a fare da spalla a interpreti come Channing Tatum, Scarlett Johansson, Jonah Hill, Josh Brolin e Ralph Fiennes. A quanto pare questa attrice sembra perfetta per l’apparizione fugace, ma quando gli viene offerto un ruolo da protagonista è sempre capace di incidere nella memoria. Straordinaria in Solo gli amanti sopravvivono, molto meno in un manualetto di psicologia spiccia come …E ora parliamo di Kevin (2011).

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).