Le conseguenze dell'amore

Titta Di Girolamo vive in un Hotel da 8 anni, svolge un lavoro molto particolare. Un giorno si innamora della ragazza del bar dell'Hotel.
    Diretto da: Paolo Sorrentino
    Genere: noir
    Durata: 100'
    Con: Toni Servillo, Donatella Finocchiaro
    Paese: ITA
    Anno: 2004
7.3

Il vuoto acustico degli interni della prigione dorata che Titta Di Girolamo – protagonista di Le conseguenze dell’amore, il secondo lungometraggio di Paolo Sorrentino – spartisce con i mostri della solitudine e dell’insonnia.
Le sue lunghe e silenziose passeggiate in mezzo ad alienanti paesaggi di centri commerciali, scale mobili e cemento della solita Chiasso; la generale rarefazione delle scene e dei dialoghi, proiettano nello spettatore quel senso di noia, di mal di vivere, di trascinarsi dietro una vita senza scopi e senza fantasie.

E inevitabilmente fanno traspirare alla pellicola del talentuoso autore napoletano (che fa storcere il naso a certi puristi) un cinema esistenzialista, dell’incomunicabilità. A cui dà rotondità l’incorniciamento in una storia di mafia.
Ma la colonna vertebrale del film, in realtà fremente e palpitante sotto la stralunata e disillusa fermezza con cui si affonda nel cemento liquido, è qualcosa che, più che con Camus o Antonioni, ha a che fare con la Tragedia più primordiale e pura. Le conseguenze dell’amore. «Progetti per il futuro: non dimenticare le conseguenze dell’amore», prova ad appuntarsi Titta.
Non dimenticare, perché si tratta di qualcosa di atavico, di quell’intuizione che sedimenta da millenni nel corpo di ogni uomo e che è possibile leggere per esempio in alcune leggende di Bequer e nelle tragedie di Lorca: la Femmina incolpevole ma inesorabile strumento – occasione – del destino tragico e fatale del Maschio. La sua sciagura. Un’intuizione che da sempre, fino alla fine, viene sistematicamente – e fortunatamente – ignorata.
Un’intuizione manifestata nel film in un gioco di anticipazioni attraverso varie immagini simboliche. Una su tutte – la scena che può riassumere il film nei suoi pochi secondi: per strada, giusto sotto la finestra da cui Titta sta osservando, un uomo si distrae a guardare una bella ragazza, e perdendo il controllo di sé sbatte il muso contro un lampione.
Allo stesso modo, Titta cederà infine anche lui all’amore. Compirà una follia per la giovane barista che da tempo mostrava il proprio interesse e stuzzicava quello di Titta.
Una follia ripagata però con la disertazione dell’appuntamento decisivo: la ragazza ha avuto un incidente d’auto proprio mentre si recava al rendez-vous, ma questo Titta non lo sa.
E le certezze del pessimismo riprendono il sopravvento. È così che il fato agisce. Non è questione di colpa, malizia o responsabilità femminile.
È questione di fatalismo. E se Steiner aveva ragione, che la Tragedia è morta nel mondo occidentale incapace ormai di conferire mistero alla morte poiché il razionalismo ha scacciato da tavola il Fato, ecco che l’unica espressione della fatalità, l’ultimo luogo in cui ancora arde il senso del fatale, è rimasta lei, la Femmina: famfatàl, innescatrice di tragedie.
Che sono innanzitutto sacrificio catartico del Maschio. Naturale allora che la vicenda di Titta sia un cosciente e lento slancio verso la catarsi, verso l’altare del proprio olocausto: la gru nella cava, il braccio(meccanico) della giustizia di Cosa Nostra (il deus ex-machina del dramma). In extremis, però, con furiosa follia orlandesca, Titta sublimerà la sua sciagurata fine salendo su quell’altare sacrificale da eroe e non da varòn.

A proposito dell'autore

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Nato nel 1990 in Puglia. Laureato in Lingue e Culture Straniere all'Università degli Studi di Perugia con una tesi sul webdocumentario, vive a Parigi, dove cerca di specializzarsi nel campo della scrittura e realizzazione di documentari e si tartassa il fegato con interminabili notti di birra. Con alle spalle articoli per webzines, interviste e collaborazioni al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia e IMMaginario 2.0, ha co-realizzato il webdocumentario www.lamemoriaelaferitawebdoc.com