Leonardo DiCaprio è un attore ferino, magico, irreprensibile, un talento concentrato in un volto smussato e angelico, che sotto tradisce pieghe di violenza e disumanità, a volte rivelatrici di un carattere determinato e complesso.
Non ha ancora raggiunto i 40 anni l’attore americano, ma la sua filmografia, fin dagli inizi, registra titoli importanti e collaborazioni con registi di primissima linea.
Baz Luhrmann, James Cameron, Danny Boyle (con DiCaprio nel suo peggior film), Woody Allen, Steven Spielberg (in uno dei suoi film più politici di sempre), Martin Scorsese (che lo ha eletto suo nuovo attore feticcio), Ridley Scott, Sam Mendes, Clint Eastwood, Christopher Nolan (nel suo capolavoro) e, adesso, Quentin Tarantino.
Una serie impressionante per un attore così giovane. Neanche Tom Cruise e Johnny Depp possono vantare un simile portfolio, DiCaprio in questo senso sembra veramente una specie di Totem delle politiche autoriali/produttive hollywoodiane, un attore capace di passare da un teatro all’altro della messa in scena spettacolare, un Divo per cui lo script e il nome del regista risultano i due irrinunciabili pilastri nomenklaturali per cui l’attore americano sceglie di acutizzare il suo talento in performance di sicuro impatto.
Si è detto spesso delle mancanze di DiCaprio come attore, della sua presunta mancanza di espressività, della sua bellezza buona solo per gli spasimi delle fan più giovani. Forse avrà avuto senso ai tempi di Titanic, il film di James Cameron del 1997, (ma già nel Romeo+Juliet di Luhrmann si vedeva un attore dal talento complesso e consumato) ma col passare degli anni e dei film e, dopo le collaborazioni con Scorsese, da Gangs of New York in poi, si avverte un cambiamento nel carattere dell’attore.
Il suo viso si fa rigato e più consapevole, il suo carattere più calmo e, relativamente alla scena si attua, da parte dell’attore, un disegno scenico che comporta una strutturazione dei personaggi che rivelano un autentico scavo interiore.
Soprattutto dal film di Sam Mendes in poi, DiCaprio ottiene quella maturità che gli mancava, rimanendo soprattutto nella memoria per opere quali Inception, Shutter Island e J.Edgar.
L’anno successivo DiCaprio collaborò per la prima volta con Quentin Tarantino in Django Unchained, che venne definito dell’Huffington Post “il film più disturbante di Tarantino”.

 

Django Unchained, western postmoderno-classicista di Tarantino è l’ennesimo mix di generi, lo stile del regista di Le iene Cani da rapina e Bastardi senza gloria è dinamite pura e questo ultimo capitolo serve a chiarire ulteriormente il percorso autoriale del più discusso e geniale dei nuovi cineasti di Hollywood, in un western dove soprattutto si rivela l’anima luciferina di DiCaprio, in uno dei suoi ruoli più violenti di sempre.
Nell’anno successivo l’attore è protagonista di altri due film molto importanti: Il Grande Gatsby e The Wolf of Wall Street. Ne Il Grande Gatsby torna a collaborare a 17 anni di distanza con Baz Luhrmann, nel remake del film del ’74 di Jack Clayton con Robert Redford: si tratta di un melò puro che viene adorato dal pubblico femminile e lascia estremamente fredda la critica mondiale. Luhramnn dà ampio sfoggio del suo proverbiale kitsch stilistico.
Ma è con il film di Scorsese che DiCaprio trova una delle sue perfomance più importanti, consacrando il suo status di Divo eccentrico e iconografico. L’attore si produce in scene dall’alto contenuto erotico, si droga, assume un tono cinico e spregiudicato, forse cavalcando l’onda della generazione x, cresciuta senza ideologie e con il mito del capitalismo sfrenato. Il film ottiene 5 nomination all’Oscar, tra cui quella per l’attore americano, alla sua quarta Nomination. L’attore americano dopo 5 nomination all’Oscar vince la statuetta nel 2016 grazie a Redivivo – The Revenant del messicano Inarritu.

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).