No I giorni dell'arcobaleno

Nel 1988 René Saavedra, un giovane pubblicitario, si occupa della campagna referendaria per il fronte del NO, per decidere se confermare o meno l'incarico di Presidente a Pinochet.
    Diretto da: Pablo Larrain
    Genere: drammatico
    Durata: 118'
    Con: Gael Garcia Bernal, Alfredo Castro
    Paese: CHI, USA
    Anno: 2012
7.5


No – I giorni dell’arcobaleno è praticamente la terza parte di un discorso che Pablo Larrain, uno dei migliori talenti emersi dal circuito dei festival negli ultimi anni (Tony Manero vinse il primo premio al Torino Film Festival del 2008, Post Mortem partecipò in concorso a Venezia nel 2010), ha imbastito sulla storia recente del Cile.

In qualche modo, è l’esito più significativo del cineasta cileno: non perché i due lavori precedenti, lividi e disperati, non toccassero punti nodali della tragedia che la dittatura di Pinochet e dei militari – con la connivenza di molti paesi occidentali – ha causato nel paese sudamericano, ma per il punto di vista più aperto, incline ad abbracciare con lo sguardo il rapporto ambiguo che gran parte dei cileni ha intrattenuto con il presidente-icona.
L’intreccio, mutuato dalla vera storia del pubblicitario che rilanciò la campagna referendaria del “No”, ossia il no al mantenimento della dittatura di Pinochet, è decisamente ricco di spunti per capire una questione essenziale. E cioè che Pinochet non fu visto soltanto come un aguzzino o un duro uomo d’ordine da una parte molto significativo della popolazione. Ma anche come colui che rilanciò l’economia del paese, permettendo un relativo benessere a molti, consentendo il passaggio da un’economia arcaica ad una basata sui consumi.
Di qui la necessità di impostare una campagna che vendesse il diniego alla prosecuzione della dittatura come si sarebbe fatto con una bibita o un profumo, esaltando gli effetti positivi più superficiali di un nuovo corso e nascondendo altri messaggi relativi alle repressioni poliziesche, alla volontà di rivalsa dei parenti e degli amici delle vittime delle sparizioni e delle torture del regime, al rigido controllo esercitato sulla stampa e sulla libertà d’opinione da una dittatura durata tre lustri.
Per battere Pinochet, il personaggio interpretato da Gael Garcìa Bernal, sa che deve offrire rassicurazione al popolo cileno. Un po’ la stessa rassicurazione che il dittatore è riuscito a garantire per lunghi anni, con un’immagine certo ipocrita e truffaldina, ma estremamente convincente.

In buona sostanza, liberare il Cile da Pinochet è stato come indurre i cileni ad abbandonare il padre e tutore della nazione, una figura ingombrante che aveva però saputo dare la sensazione di proteggere idealmente (pur se a carissimo prezzo) la società del suo paese da molte insidie della modernità.
Visto in questi termini, il passaggio referendario acquista nella ricostruzione di Larrain una drammaticità tutta particolare – benché filtrata attraverso il punto di vista di ambienti ristretti ed elitari – che è quella della scelta non tanto (o solo) tra dittatura e democrazia, ma tra due forme differenti di condiscendenza nei confronti delle paure della popolazione.

Ecco il motivo per cui è necessario proporre spot basati su un’allegria di facciata, generica e superficiale: l’immaturità della società cilena, restia a sgusciare fuori da un assopimento di fondo nei confronti delle logiche con cui si pone la modernità, avrebbe vanificato ogni discorso, per quanto cauto, sulla responsabilità criminale di Pinochet e della sua cerchia.

Messo il discorso in questi termini, No – I giorni dell’arcobaleno non è un film ottimista o liberatorio (come una parte della critica ha creduto). È però un film lucidissimo, alla stessa stregua dei due precedenti. E come molti hanno fatto notare, il finale è sintomo di una dissociazione. La soddisfazione per la vittoria passa in fretta. Poi tocca vivere, in quel paese. E lavorarci. E fare i conti con il prezzo da pagare per essere liberi. Davvero liberi?

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Ha una foto di famiglia: Lang è suo padre e Fassbinder sua madre. John Woo suo fratello maggiore. E poi c'è lo zio Billy Wilder. E Michael Mann che sovrintende, come divinità del focolare. E gli horror al posto dei giocattoli. Come sarebbe bello avere una famiglia così...