Neruda

Cile, 1948. Il poeta e senatore Pablo Neruda è impegnato in prima persona nella lotta a favore del Partito Comunista. Ma la guerra fredda è iniziata e il governo Varela dispone la sua immediata cattura. Dell’operazione è incaricato l’ispettore Peluchonneau, che troverà non poche difficoltà nell’eseguire il compito.
    Diretto da: Pablo Larrain
    Genere: drammatico
    Durata: 107
    Con: Gael Garcia Bernal, Luis Gnecco
    Paese: Cile, Arg
    Anno: 2016
7.9

La cifra distintiva del cinema di Pablo Larrain si codifica nell’applicazione ossessiva della time machine. Il discorso parte sempre da una focale particolare, da un angolo di visione scelto per rappresentare un’idea di mondo sommersa dal tempo e dalla Storia. Nella sua filmografia El Club (2015) è stata l’unica incursione nel tempo odierno, nell’attualizzazione di un dramma che esplodeva nelle strettoie di una chiarificazione tellurica di avvenimenti turpi, dove il dramma tendeva crepuscolarmente al modello narrativo del processo. Dopo questa potentissima e per certi versi urlata ovvietà semantica, Larrain torna a quello che gli è più congeniale. la ricostruzione empirica di qualcosa che non esiste più.

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Se la memoria parla il linguaggio dell’introversione, il tempo viene ampliato nella durata della visione onirica e la storia dell’ispettore Peluchonneau (Bernal) che dà la caccia al poeta Neruda (Luis Gnecco) è vista come la ricerca inesausta di una deriva fisionomica. Larrain ricostruisce perfettamente il sentimento del tempo, va a riscoprire ciò che non è più, fa parlare i corpi imbalsamati della Storia, inserendoli in una storia ridotta alla ripetizione inesausta del gesto implicito che dalla poesia di Neruda porta alla trasformazione dell’idea poetica alla politica. La poesia è politica. Neruda viene braccato da un poliziotto zelante ma inetto, quasi un povero cretino che nel finale troverà la giusta soglia da cui ammirare la grandezza del poeta.

Larrain in questo suo primo biopic (il secondo riguarderà Jacqueline Kennedy nel film con Natalie Portman) abbandona lo stile “maleducato” di Tony Manero e No, e anche la lucidità dei piani sequenza inflessibili di Post Mortem e El Club, per concentrarsi sul non detto, facendo un film dolce, avvolgente, che non pretende di giungere ad una conclusione netta. La visione rimane sospesa in un’incertezza che è il marchio indelebile di un periodo storico come quello della guerra fredda in cui le identità sfumano e le intenzioni sono sempre celate. Perché se di guerra si è trattato la si è fatta di nascosto e con l’arma delle coperture politiche. Spie in incognito. Nel film non si vedono, ma se ne prefigura l’esistenza.

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Il corpo semantico del film di Larrain va cercato tra le righe, perché stavolta la politica di visione adottata è introversa e mai esplicitata del tutto, Neruda è un dipinto che si perde nei rigagnoli di una ricostruzione storica fine e raggelata, è un dramma sottinteso che non esplode mai, come una ricerca filologica che ambisce a farsi quadro onniscente di un sintagma temporale ancora non ben definito. Chi era chi in quel frangente storico lo decideranno gli storici post mortem, a Larrain interessa un’altra cosa con il suo biopic sommerso: perdersi all’interno di un dramma incomprensibile, dal fascino etereo e sinistro. Il fatto che il film accumuli diversi finali e termini in modo elegiaco è già un segno di non finitezza di un discorso ancora tutto da formulare.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).