The Master

Un reduce della seconda guerra mondiale, incontra per caso su una nave un uomo che diventerà il capo di una setta dedita all'analisi dell'animo umano e delle sue psicologie. Tra i due si instaurerà un rapporto conflittuale.
    Diretto da: Paul Thomas Anderson
    Genere: drammatico
    Durata: 144'
    Con: Joaquin Phoenix, Philip Seymour-Hoffmann
    Paese: USA
    Anno: 2012
7.7

Paul Thomas Anderson continua ad avere manie di grandezza. Il suo ultimo The Master è un’opera al solito ambiziosissima, potente, silenziosa, mai doma, un’opera che giganteggia e mostra l’altro lato della medaglia, le umane miserie, il potere della parola come indice di un rallentamento del corso degli eventi. The Master si può considerare come un doppio speculare di quell’altro gigantesco film che era Il Petroliere, in cui Daniel Day-Lewis rivaleggiava con Paul Dano, tra i due vinceva curiosamente il secondo, divorandolo in un sol boccone, con una performance che rimase negli annali. Il Petroliere finiva con Daniel Plainview che, dopo aver spaccato la testa ad Eli Sunday, pronuncia, inquadrato in totale, il famoso “I’m finished”. In The Master il finale ha a che vedere con il sesso, elemento che mancava completamente all’illustro precedente.

Si potrebbe dire che sia proprio il sesso la chiave per entrare nel complesso meccanismo di questa intima epica americana, il sesso come elemento disvelante la mentalità retroagrada e fintamente libertaria di una “setta” che pretendeva di capire l’animo umano e dare un significato all’amore, al dolore, al piacere e alla sessualità attraverso l’ipnosi e alla mistica degli spiriti, ma forse questa è solo una falsa pista interpretativa, Anderson inserisce vere e proprie perle di regia purissima nel cristallo di The Master, trasformando le scene di confronto tra i due contendenti (Phoenix e Seymour-Hoffman, il terzo incomodo è Amy Adams che in alcune parti fa da ago della bilancia tra i due) in scorribande emotive ineguagliabili, anche grazie allo score di Jonny Greenwood che dopo Il Petroliere regala un’altra perla compositiva, enfatizzando e sciogliendo quando serve le immagini.

Anderson amplia la storia classicamente, staglia il proprio alveo visivo verso un impero autoriale dominato dall’immagine e dai lustri di quell’estetica americana che non si è più abituati a vedere in un film di Hollywood, con un senso delle inquadrature che ha del tragico, del patetico, dell’infimo, con un Joaquin Phoenix spiritato e devastato da se stesso, impossibilitato a salvarsi dai demoni dell’alcol e del suo carattere animalesco, come un fascio di nervi che non mai troverà pace. SeymourHoffman è più posato e calmo del solito, Anderson ne controlla il solito istrionismo e ne fa una figura paterna, quasi fosse un’onnipotente demiurgo che decide del bene e del male, solo a tratti si rivede la sua proverbiale follia da attore consumato. Quella tra i due è una sfida tra due grandi personalità che si scontrano e si annullano a vicenda.

Amy Adams è nel mezzo, riuscendo quasi sempre ad imporre un timbro di correttezza all’intera vicenda, salvo poi finire anche lei nel calderone delle follie di una setta che fa del parossismo e della controversia le sue caratteristiche principali.
C’è un che di calmo e di deterministico in questo apologo sui fantasmi dell’anima, molto meno ossessivo del precedente Il Petroliere dove i neri, i rossi, la terra e la fame di denaro e di potere annichilivano l’immagine per portarla su un’altra dimensione, The Master predilige la solennità della grazia compositiva, come se Anderson non esaurisse mai il proprio afflato pittorico e insinuasse una visione cristallizzata nell’intima dialettica sospesa tra il dubbio e la speranza.
Che sia una serissima requisitoria sul come dovrebbe presentarsi il cinema prima concludere la sua vivissima odissea spazio-temporale nell’oblio? Un lampo prima di ogni altra nuova visione, il fisico per rimanere nella memoria The Master ce l’ha, gli manca solo di trovare uno spettatore che sia sulla stessa lunghezza d’onda del suo autore, per trovare un’affinità, un legame che solo un raccordo di ellisse può dargli. The Master sta là, tra i non detti e gli spazi vuoti/concavi, per farsi pilastro irraggiungibile e modellarsi nella mente.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).