The Baby of Macon

Nel 1650, nella cattedrale di Macon, una donna decrepita partorisce un bellissimo bambino. Tutte le donne sterili vogliono ricevere la benedizione del "bambino magico". Ma la figlia 18enne dell'anziana si finge la madre vergine del bambino, per sete di potere.
    Diretto da: Peter Greenaway
    Genere: drammatico
    Durata: 122'
    Con: Julia Ormond, Ralph Fiennes
    Paese: OLA, UK
    Anno: 1993
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Fotografia ecumenica elettrica, infeconda, malvagia, invereconda, la quale annulla il punto di vista procedendo attraverso un sostanziale vilipendio dell’immaginario avanzato dall’imperiosità iperuranica del kinema cattolico.

The Baby of Macon (1993) è kinema cattolico fotografato durante la manifestazione di un aborto preternaturale, la sostanza invaritata nel tempo di una subcoscienza magmatica di origine sconosciuta.
Greenaway avrà mai letto “La scrittura automatica” di William S. Burroughs? Se si, The Baby of Macon ne è con tutta evidenza l’esempio più anticatartico e messianico possibile.
L’operazione è di per sé un annullarsi furibondo di estetiche plurime, l’addensarsi eretico della massa in forma tetragona di una geometria di ghiaccio che assume i connotati di una sconfitta ideologica.

La messa nera propagata da Peter Greenaway accresce nel limbo mai visto di una perdizione immaginifica autentica, rendendo vano ogni tentativo di imitazione.

 

Se The Baby of Macon è unico lo si deve alla fotografia di Sacha Vierny che paluda l’immgine, l’apostrofa senza possibilità di un ritorno salvifico, l’annunzia, rendendo viscerale il discorso dell’antinomia, dell’impossibilità perpetua di un gioco criminale.
The Baby of Macon è ripetizione del gesto connaturato alla follia in primo luogo ferina del kinema rivoltatosi contro il suo autore.
The Baby of Macon è rito, orgia dell’immagine millenaria, tenzone infinita verso l’infinito divulgativo della violenza come trance emotiva.
Greenaway passeggia sopra il nichilismo della sostanza, attraverso una forma del kinema che chiede assoluta devozione dallo spettatore.

 

Nessuno mai più tenterà un’operazione simile, perché il tempo del kinema è sustanziato alla mancanza di memoria temporale, e ciò che si rivela nell’opera nera di Greenaway verrà tenuto nascosto nel cinema a venire, come un segreto inconfessabile, come una disputa improbabile tra forma e contenuto, tra essere e apparire, come nel kinema il fulcro della visione rimane sempre l’ellisse connaturata al fuori campo, così nel cinema didascalico di oggi, la serialità televisiva abiatua lo spettatore ad essere imboccato come un poppante.
Greenaway pretende l’annullamento della struttura dello script, il quale viene considerato dall’artista una seccatura da eliminare dal vocabolario del cinema.
Il cinema per Greenaway deve diventare kinema, esperienza ignobile e sommersa, mise en abime, riduzione ellittica di una forma mai nata.

 

The Baby of Macon rimane esperienza sicuramente pesante e assolutamente rituale, come tutto il cinema Greenaway è il trionfo del barocco e della similitudine tra assenza di un messaggio e politica autoriale elevatissima e intransigente, com’è intransigente e mai transitiva nella forma negata fino all’ultimo, la violenza subita da Julia Ormond, violentata da 217 soldati e annegata nella propria vergogna.
Il kinema di Greenaway stabilisce l’unione tra la farsa e il dramma e il grottesco si tinge di rosso come la linea sanguinante di Julia Ormond, visualizzata ovviamente in campo lungo, come una chiazza rossa che diventa solo una piccola bozza nel quadro impassibile di Greenaway.
Questa è politica della visione kinematica all’ennesima potenza. Il kinema non dimostra, facendosi cinema spesso e resistente all’occhio.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).