Nebraska

Nel Montana, Woody Grant, anziano oppresso dai debiti, è convinto di aver vinto una cospicua somma alla lotteria. Decide di fare un viaggio a piedi per riscuotere la somma, in Nebraska. Il suo viaggio sarà costellato da incontri, sorprese e delusioni.
    Diretto da: Alexander Payne
    Genere: drammatico
    Durata: 115'
    Con: Bruce Dern, Will Forte
    Paese: USA
    Anno: 2013
7.8

Un uomo anziano curvo e affaticato cammina ai bordi di una strada trafficata. È diretto a Lincoln, Nebraska, per ritirare un premio che quasi certamente è solo una bufala. Sarà poi il figlio minore di Woody, questo il nome dell’uomo, ad accettare di accompagnarlo nell’improbabile tragitto, spinto da senso di colpa e devozione alla (per quanto controversa) figura paterna.

La trasparente metafora che sta alla base del nuovo lungometraggio di Alexander Payne chiarisce subito cosa dobbiamo pensare oggi dei rimasugli dell’American Dream, quello per cui ogni uomo che vive sul suolo statunitense ha una possibilità di emergere, di vincere la mediocrità e di lasciare qualcosa di sé, fosse pure una piccola ed impercettibile orma, nella rena della Storia.
Ma la cronaca di un viaggio senza logica e senza possibilità quanto quello di Don Chisciotte e del suo fedele scudiero s’incrocia col paesaggio del Midwest (il film è stato girato tra il Montana, il Wyoming, il South Dakota e ovviamente il Nebraska) e con l’ostilità dell’ambiente familiare e culturale in cui i protagonisti si trovano a vivere e ad essere inseriti.
Le pianure e le cittadine di Payne hanno però poco da spartire con i drammatici scorci del Nebraska ritratti da Bruce Springsteen nel suo omonimo album del 1982: là c’erano reietti, disperati e assassini sullo sfondo della crisi della civiltà industriale, qui scorgiamo mostri incanutiti e meschini che puntano soprattutto ad arraffare quanto possibile, per infimo che sia, delle fortune altrui. E lo sfondo, più che la crisi dell’economia, pare essere l’inerzia e l’indolenza in cui sono precipitate le periferie della grande nazione per l’effetto combinato della mancanza di opportunità di riscatto umano e dell’abulia indotta da un benessere relativo e marginale.
Rischia di essere sottovalutato, il film di Payne, perché i tratti picareschi (che improntano per esempio la gag del furto del compressore) si accoppiano con uno stile controllato e tipicamente indie visto ormai troppe volte e divenuto un cliché; mentre la prova di un vecchio leone come Bruce Dern richiama l’attenzione soltanto sul lato patetico di un film che pur non possedendo certo la statura di Lo Spaventapasseri (Scarecrow, 1973) di Jerry Schatzberg – anche quello film sul “folle” inseguimento di un’utopia modestissima – riesce nondimeno ad assestare qualche unghiata ad un’ideologia che con farisaico buon senso continua a celebrare il ruolo della famiglia e dei vecchi amici di tutta una vita.
Mentre in realtà neppure l’amore sembra un rifugio all’insensatezza tanto che, come lascia intendere uno scambio di battute tra lui e il figlio, forse il vecchio Woody non ha neppure mai amato sua moglie ed i figli sono il mero risultato dell’incontro tra un uomo a cui “piace scopare” e di una donna cattolica.
Come possiamo leggere allora la sequenza conclusiva, nella quale Woody guida il pick-up per le vie dei sobborghi con un berrettino da vincitore farlocco in testa per l’invidia di tutti quelli che gli vogliono male? Forse solo come il delirio di un vecchio rincretinito. Ma forse anche come un attacco frontale ad un sistema che spinge ad avvilenti tentativi di rivincita sociale.

A proposito dell'autore

Avatar photo

Ha una foto di famiglia: Lang è suo padre e Fassbinder sua madre. John Woo suo fratello maggiore. E poi c'è lo zio Billy Wilder. E Michael Mann che sovrintende, come divinità del focolare. E gli horror al posto dei giocattoli. Come sarebbe bello avere una famiglia così...