Maraviglioso Boccaccio

Nella Firenze del 1348, durante un’epidemia di peste, un gruppo di giovani si rifugia su una collina, in una villa dove vive una comunità, trascorrendo i giorni della peste raccontando ogni giorno una novella.
    Diretto da: Paolo, Vittorio Taviani
    Genere: commedia
    Durata: 120
    Con: Lello Arena, Paola Cortellesi
    Paese: ITA, FRA
    Anno: 2015
5.1

Maraviglioso Boccaccio, l’opera curata da Paolo e Vittorio Taviani, volta ad omaggiare il Decameron di Giovanni Boccaccio, risulta una bella cornice di metà Trecento: ma un bel quadro non è detto che riesca a comunicare forti e reali emozioni.

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C’è la peste in Toscana, in quegli anni. La gente ha il terrore di esser contagiata, si è tutti amici e – al contempo – tutti nemici, perché la morte è sempre dietro le spalle, fa paura ed è d’uopo difendersi. Questo è il contesto intorno al quale si ambienta il film dei fratelli Taviani, i quali scelgono due novelle della prima parte del Decameron e tre della seconda. Le cinque storie sono raccontate da un gruppo di dieci giovani ragazzi, evasi dalla loro Firenze e trasferitisi, temporaneamente, in un luogo più sicuro. Tra di loro ci sono Fiammetta, Filostrato, Panfilo, Filomena.

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Nella prima vicenda c’è una splendida Catalina (Vittoria Puccini), abbandonata dal marito Niccoluccio e salvata da Gentile (Riccardo Scamarcio), suo ammiratore e amante.  Segue il racconto di Calandrino e la magistrale interpretazione di Kim Rossi Stuart. Lello Arena, Michele Riondino e Katia Smutniak interpretano Tancredi, Ghismunda e Guiscardi; Jasmine Trinca è monna Giovanna e Paola Cortellesi veste i panni della Badessa Usimbalda. Alcune grandi performance, altre discutibili. Non c’è Pasolini, non c’è la sua trasgressione, eroticità. Cambiano le scelte stilistiche e il registro. Non c’è Napoli ma Firenze. Non c’è volgarità, neanche nel racconto della Badessa; piuttosto i Taviani hanno puntato al sorriso, ai sentimenti puri e alle riflessioni concernenti il tema della morte, del desiderio, della passione. Storie che, talvolta, hanno spezzato il ritmo ma che in altri momenti hanno reso il racconto piatto e poco credibile.

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Cesare deve morire, il loro grande capolavoro degli ultimi anni, è rimasto lì, su un piedistallo: ha guardato questa successiva opera cinematografica con la consapevolezza di essere stato ben altra cosa. Per carità, ai Taviani non manca nulla: le immagini fedeli e armoniose, le luci calde e fredde nei momenti opportuni, le riprese e le inquadrature di veri professionisti sono indiscutibili. Quello che è mancato è il coinvolgimento, l’empatia. Al piacere nel “guardare” non necessariamente corrisponde il “sentire”.