Cul-de-sac

In un castello su un'isola i due giovani coniugi George e Teresa trascorrono la quiete estiva in compagnia degli amici. Ma l'arrivo del bandito Dick scuote drammaticamente gli equilibri della coppia.
    Diretto da: Roman Polanski
    Genere: commedia grottesca
    Durata: 113'
    Con: Donald Pleasence, Lionel Stander
    Paese: UK
    Anno: 1966
7.8

Il cinema allo stadio larvale, qualcosa di tremendamente unico e malleabile, manipolabile dalla mente luciferina di Roman Polanski.
In seguito il regista polacco riprenderà, forse senza rendersene conto, la sua struttura di Cul-de-sac (1966), la sua più perfetta, nel 2011, 45 ani dopo, nel preciso e calibrato Carnage, concedendo almeno le attenuanti morali ai propri personaggi borghesi, invischiati dall’inizio alla fine nelle loro banalità perbeniste.

Cul-de-sac sorprende ancora, dopo 47, con la sua impostazione ondivaga, la sua persistenza del dubbio, la sua carica di umorismo anarchico, stralunato, il suo incedere casuale (neanche fosse un prequel o una pre-visualizzazione onirica di Hollywood Party), la sua metonimia visiva asfissiante e logorroica, con tre attori sublimi, che fanno a botte per emergere.
Polanski proietta l’assurdo nella concezione kafkiana della commedia sommersa, non mostrando mai il comico come fardello, ma come esercizio di una concatenazione in perenne disvelamento, lasciando impazzire i tre personaggi, veri e propri imbecilli, reietti di una società conformista e finta (la famiglia borghese che viene a trovare i tre sciagurati senza preavviso, perché il telefono sull’isola è stato rotto dal ladro Richard), in un reticolo di miserie comicissime che culminano nella bicicletta notturna, corredata da una sana dose di botte che la ragazza artista semi svitata si prende.

 

Il giovane Polanski gira il fuoco fatuo della sua commedia dell’assurdo rivoltando tutti i canoni classici, da Lubitsch e Laurel e Hardy, concependo un tempo immobile e assunto a vero carnefice dell’intera vicenda, colpendo duro le maglie morbide della morale borghese, assumendo sempre il punto di vista silenzioso del giudice.
A 31 anni il regista polacco aveva già un gusto per la direzione degli attori che sconvolgeva ogni regola, dichiarando sotto traccia la propria intenzione di regalare un thriller decomposto, decretando la fine del genere e il mix tra follia e spergiuro della struttura di riferimento, fotografando le notti come cupe portatrici di fiabe menzognere e illuminando le mattine come una finta quiete dopo la tempesta (ovviamente fuori campo) che è succeduta la notte.

 

Film di zombie e di libertinaggio aristocratico, Polanski devia ogni volta l’asse della visione, comunica con la morte, si fa beffe del diavolo. Forse il diavolo è lui stesso, ma nessuno se n’è ancora accorto.
Cul-de-sac sta a dimostrare che il tempo del cinema rende immortale una realtà fittizia non ancora scoperta.
L’autore di Rosemary’s Baby ha fondato la sua estetica sulla comicità della tragedia, sul declino della morale in quanto pedissequa portatrice di valori cristiani.
Polanksi ha l’accesso alla visione del sabba e ogni volta ne decreta l’inizio con la comicità di chi sa di aver capito tutto, sulla struttura del cinema, su ciò che deve rappresentare un’inquadratura, su un’operazione di falsificazione della realtà che renda più vero del vero il l’incubo della realtà stessa.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).