La vita di Linda Susan Boreman, che dopo il matrimonio con Chuck Trainor, gestore di un night club, la introduce negli anni '70, nel mercato del porno. Linda diventerà la star Linda Lovelace, nel primo famoso porno della storia del cinema: Gola Profonda.
Diretto da: Rob Epstein, Jeffrey Friedman
Genere: drammatico
Durata: 93'
Con: Amanda Seyfried, James Franco
Paese: USA
Anno: 2013
Stati Uniti, anni settanta: sesso, droga, rock’n’roll e pornografia elevata a forma d’arte. Questo è lo sfondo (di carta pesta) in cui si muovono le figur(in)e in primo piano del film: Linda Lovelace, star del cult-porno Gola profonda, il marito-manager-sfruttatore, i sedicenti produttori, registi e attori del porno di quegli anni, e la famigliola di Linda, ingenuotta e ben pensante (con tanto di Sharon Stone – ad interpretare la madre – in versione casalinga media americana piagnucolosa).
Lovelace vorrebbe dare una risposta a questa domanda: chi era la persona che si celava dietro la star-meteora del porno più famoso della storia? Stando all’opera seconda (di finzione) dei registi di Urlo (2010), Robert Epstein e Jeffrey Friedman, era una ragazza fragile e ingenua divenuta poi suo malgrado un’icona pop come è noto a tutti.
Un’icona che ha contribuito a “nobilitare” il porno divenuto in quegli anni un fenomeno di costume – anche per cineasti e intellettuali. Ma ciò che, a conti fatti, i due registi mettono in scena è una piattissima e sciatta parabola di ascesa-caduta-redenzione di un personaggio, che non riescono proprio a rendere interessante.
Epstein e Friedman non possiedono lo spessore di un autore (vero) come Paul Thomas Anderson, che con l’ottimo Boogie Nights (1997), attraverso uno sguardo partecipe e impietoso al tempo stesso, riusciva a restituire l’atmosfera che si respirava nel “vispo” mondo del porno popolato, in fin dei conti, da una tenera banda di sfigati.
Gli autori di questo Lovelace invece, non hanno fatto altro che confezionare un biopic mediocre, volendo essere di manica larga: una cartolinesca rappresentazione nostalgica con annessi i più ovvi “accessori” del caso come una colonna sonora d’epoca, una fotografia sgranata e tanto (involontario) macchiettismo.
E tutto ciò porta a chiedersi se fosse davvero necessario un film del genere, che fa davvero molta fatica ad andare oltre la superficie non riuscendo in realtà nemmeno a scalfirla, e dirci qualcosa che solletichi, anche solo per un istante, l’interesse verso il personaggio (e la persona, soprattutto) di Linda Lovelace.