Godzilla

Nel 1954 nell'Oceano Pacifico vennero effettuati dei test nucleari da parte degli americani. L'espolsione risvegliò una creatura mostruosa che, in seguito, gli stessi americani tentarono di distruggere, senza centrare l'obiettivo. Ma una nuova minaccia risveglia il mostro, che invade il Pianeta.
    Diretto da: Gareth Edwards
    Genere: fantascienza
    Durata: 123'
    Con: Aaron-Taylor Johnson, Elisabeth Olsen
    Paese: USA, GIAP
    Anno: 2014
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Forte di un sontuoso budget di 160 milioni di dollari e di una campagna di marketing abilissima a incuriosire il pubblico evitando di rivelare troppo del film, il nuovo Godzilla firmato dall’inglese Gareth Edwards ha subito onorato il suo ruolo di capofila dei blockbuster dell’estate americana, realizzando incassi da capogiro già nel primo weekend di programmazione.

 

Il re dei mostri, il cui marchio è di proprietà della Toho ed è protagonista di un vero e proprio franchise lungo una trentina di film, si conferma dunque un autentico asso pigliatutto (malgrado le critiche negative, il precedente Godzilla di Roland Emmerich del 1998 incassò quasi 400 milioni di dollari nel mondo essendone costato 130).
La differenza è semmai nel manico: mentre il film del tedesco Emmerich era un giocattolone ispirato a Jurassic Park e votato in modo massiccio al merchandising, il nuovo film è invece un prodotto d’autore, come è evidente nella scena più insolita del film, quella in cui la calata dei paracadutisti avviene sulle note del Requiem di Ligeti.
Gareth Edwards non sembra disposto a scambiare la sua ispirazione artistica con quattrini a palate e c’è da supporre che le ambizioni mostrate nel suo precedente Monsters (2010) troveranno in futuro compimento. In attesa comunque di capire se il cinema spettacolare americano ha trovato un nuovo Re Mida al pari dell’altro britannico Christopher Nolan, c’è da registrare il palese compromesso che il Godzilla del 2014 rappresenta. Mirando a intercettare il gusto del pubblico che ha decretato tanto il successo di Pacific Rim di Guillermo Del Toro che della saga dei Transformers di Michael Bay e della stessa saga del Cavaliere Oscuro di Nolan, il film di Edwards non trova sempre una chiave convincente. La cosa è principalmente evidente nella prima metà del film, quella in cui è necessario dare fondamento alla vicenda in modo credibile e accettabile anche per un pubblico accorto e consapevole di ciò che Godzilla rappresenta nella cultura nipponica.
Se Emmerich nel film del 1998 con spavalda sbrigatività si rifaceva ai recenti esperimenti atomici francesi sull’atollo di Mururoa per poi portare la contesa sul suolo americano e continuare in ciò che lo interessava di più, ossia la distruzione dei simboli yankee già iniziata in Independence Day, la sceneggiatura di Max Borenstein sembra faticare molto di più a motivare gli eventi. I riferimenti agli esperimenti atomici degli anni Cinquanta, il pedaggio da pagare agli eventi di Fukushima, la necessità di impostare le sottotrame melodrammatiche di cui sono protagonisti Bryan Cranston e Aaron Taylor-Johnson (quest’ultima a posteriori sembra avere come unico vero scopo quella di mostrare l’abbraccio finale della famigliola ritrovata, in pieno stile The Impossible), le passabili spiegazioni scientifiche e, non ultima, la macchinosità nello spostare l’azione negli Stati Uniti, causano un visibile impedimento alla fluidità della vicenda. Certo, la seconda parte ripaga l’attesa dello spettatore con furiose battaglie di mostri che devastano la città e mettono decisamente in secondo piano le piccole vicende umane.
Il fondale tenebroso in cui Godzilla e i suoi antagonisti si scontrano è eloquente, e riesce a combinare il kaiju eiga giapponese con il catastrofico americano (per quanto la distruzione del Caesars Palace di Las Vegas suoni, benchè adeguata ai tempi, molto meno evocativa di quella della Casa Bianca nel succitato Independence Day), anche per merito di un 3D non invadente, ma piuttosto ausiliario allo spettacolo. Alla fine, il rischio è che a dispetto delle pretese di Edwards la frase di lancio del Godzilla di Emmerich sia ancora attuale: Size Matters, le misure contano (il Godzilla 2014, con i suoi 350 piedi, 110 metri, è il più imponente di sempre): e dunque, sedici anni dopo, che la concezione americana del lucertolone giapponese non sia molto cambiata e si sia solamente adeguata al perfezionamento della tecnica e del digitale.
Il discorso politico viene così meno, nonostante il disimpegno del corpo dei Marines dall’appoggio all’operazione una volta visto lo script, e nel complesso si rivela tutto interno alla macchina del kolossal o si limita alla ratio del mostro, che ritorna alla sua radice ecologica in forma peraltro abbastanza discutibile, come paladino di una natura offesa dal genere umano. Non sarà insomma questo film a dire qualcosa di definitivo sul monster movie (per quanto mi riguarda l’ultimo film capace di tanto rimane lo straordinario The Host (2006) del coreano Bong Joon-ho). Anche se i numeri (e le dimensioni, di nuovo) significano così tanto che non scommetteremmo mai contro un mostro che, come da decalogo Toho, non può morire.