Blancanieves

In Andalusia, in Spagna, intorno al 1910, Carmen vive nella casa paterna, con il padre ex torero paraplegico. Questo viene accudito dall'infermiera Encarna, che in seguito lo sposa, diventando la perfida matrigna di Carmen.
    Diretto da: Pablo Berger
    Genere: fantasy
    Durata: 104'
    Con: Macarena Garcia, Maribel Verdù
    Paese: SPA, FRA
    Anno: 2012
7.4

Stavolta l’operazione del mix tra b/n e muto con Blancanieves di Pablo Berger effettua uno scarto tra The Artist (2011) di Hazanavicius e Tabù (2012) di Miguel Gomes.
All’inizio è difficile entrare nel micromondo sospeso, incantato del film spagnolo, Berger fa subito sentire il suo debito con la cultura picaresca del sottosuolo iberico, con la piccola Carmen che vestita per la Prima Comunione danza con la nonna interpretata da Angela Molina.
E’ un inizio folgorante e in qualche modo stridulo, che annoia piacevolmente, mostrando la semplicità di tocco di un cinema che non vuole mai dimostrare di essere ancora diventato grande, ma che funge da contesto quasi metafisico e fiabesco per la trama che si dipanerà in seguito.

Si noti da subito la sottigliezza con cui Berger rappresenta gli spazi, la non curanza dello stile, la dolcezza dei piccoli momenti: Blancanieves non è un tentativo da parte di Berger di imporre uno stile al mondo, come si vedeva su The Artist, e non è nemmeno intriso di romanticismi come Tabù, non c’è il fuoco del mélo che mette tutto in prospettiva.
Berger racconta una storia e lo fa senza puntare il dito su uno stile ben preciso. Si diverte, lasciando che gli attori si divertano con lui. Di sicuro, la carica erotica di Maribel Verdù è sensazionale, Berger lascia che l’attrice giochi con il suo fascino e accentua temi e toni kitsch, vestendola anche in completo sadomaso da dominatrice. E in questo l’attrice risulta perfetta, mettendo in chiaro che le sfumature sono un lusso che solo il grande cinema può permettersi di celebrare.
La storia di Blancanieves inizia dopo, circa a metà film, con Carmen adolescente che viene cacciata dalla matrigna Verdù, subisce un tentativo di strangolamento dal suo amante e dopo aver perso conoscenza si ritrova nella cuccetta di una carretta guidata da dei toreri nani. Carmen diventa torera a sua volta, scoprendo il talento quasi per caso e, durante una corrida, la matrigna la riconosce e decide di uccidere una volta per tutte la figliastra, più bella di lei, con una mela. Il tutto avviene nella maniera più classica, sordida e fatiscente: non c’è discorso teorico che tenga, perché un b/n così aiuta ad immedesimarsi perfettamente nella vicenda. E anche se si tratta di trito cinema nostalgico, si chiude un occhio davanti alla nonchalance con cui Berger racconta una storia risaputa.
Il finale non preclude la catarsi, come nel classico Disney, non c’è Principe Azzurro che con un bacio risveglia Blancanieves. Alla fine la matrigna trionfante esce di scena e la Blancanieves in uno stato di coma perenne viene usata dall’impresario, protettore di artisti, come attrazione.
Non c’è alcuna catarsi finale dove la matrigna viene sconfitta dal bel Principe. Alla fine rimane solo la lacrima che scende dal volto di Blancanieves dopo che uno dei nani, cui lei era legata, dopo aver curato la sua figura in vista di una nuovo spettacolo, l’ha baciata.
Il film di Berger acquista così potente valore di opera folcloristica, che funziona benissimo come commedia sui generis, con un b/n che sa di sole e terra, con una rappresentazione veritiera della corrida, senza alcuna spettacolarizzazione Hollywood style.
E’ nel suo essere così discretamente un piccolo film che forse non ha ottenuto lo stesso successo di The Artist, ma ha comunque beneficiato di una distribuzione in Italia, a differenza del più decantato Tabù, quello non proprio un film necessario, forse più pesante e anche più ambizioso, ma non sorretto da una verve leggera che stemperi la vicenda in moto surreale come ha fatto Berger.