PPZ: Pride and Prejudice and Zombies

‘800, Inghilterra. Le sorelle Bennett sono in procinto di trovare marito. La bella e intraprendente Elisabeth vive una travagliata storia d’amore con Darcy. Intorno a loro una terribile epidemia sta dilagando: un’orda di zombie a pronta a divorarli. Le sorelle Bennett dal canto loro conoscono bene l’uso delle armi e sapranno difendersi dall’invasione.
    Diretto da: Burr Steers
    Genere: commedia horror
    Durata: 107
    Con: Lily James, Sam Riley
    Paese: USA, UK
    Anno: 2016
5

I luoghi e i tempi del cinema non combaciano quasi mai. La Storia si ripete in un loop temporale dove le storie fagocitano gli immaginari (horror, commedia, romance, fantascienza). Il compito della critica, più difficile di quello che si pensi, è proprio quello di azzerare la memoria e ripartire ogni volta da un nuovo modello di riferimento. Ricominciare a vedere il film aldilà delle sovrastrutture spaziali, cinematiche, autoriali che impongono modelli che in seguito purtroppo finiscono per appesantire le visioni successive, modificandole e rendendole succubi di immagini-Totem. Lo sguardo meno rimane incatenato negli autorialismi e più ha la possibilità di rimanere vergine davanti al nuovo che avanza.

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Pride and Prejudice and Zombies di Burr Steers è un’operetta vulcanica che viaggia alla velocità della luce, divorando immaginari e riducendo il tempo scenico ad una scaltra traiettoria da romanzetto action-romance, figlia di tempi in cui il cinema fusion impone la destabilizzazione dei canoni estetici prestabiliti. La trama del famoso romanzo di Jane Austen viene macchiata dall’ingresso furioso delle orde di zombie la cui volontà famelica di “digerire” il mondo (in questo caso siamo nell’Inghilterra del 1800) incantato dei vestiti d’epoca e della galanteria, finisce per rendere giustizia alla matrice più guerrafondaia dell’horror. Tutto questo con sano divertimento e senza alcuna sovrastruttura teorica. Il cinema si fa anche ma soprattutto così. Con il nulla della pura e semplice capacità di racconto. La scena della prima dichiarazione d’amore di Darcy e Elisabeth Benneth, risolta in una furioso combattimento dove a prevalere è il desiderio di Elisabeth (nel ruolo l’ex Cinderella Lily James, fascino fuori dall’ordinario e dimostrazione di talento puro e versatile) di non lasciarsi ingabbiare da un matrimonio frettoloso che ne soffocherebbe l’istinto indipendentista, sancisce l’ordinaria amministrazione di un regista che si mette genialmente a disposizione del racconto, senza intervenire a dettare legge.

Se la poesia dell’ordinario deflagra in una messa in scena sicura e priva di fronzoli (anche digitali: il film è costato solo 28 milioni), allora si riescono anche ad evitare i problemi cui andavano incontro operazioni totalmente posticce come Maleficent, dove Stromberg calava la mannaia di insulse panoramiche su uno scenografismo d’accatto che mortificava gli attori e relegava l’androgina Angelina Jolie a pura figura bidimensionale. Qui invece abbiamo Lily James e Sam Riley e Lena Headey destreggiarsi in un mirabolante racconto dove nulla è messo a caso e le istanze pittoriche rendono la vertigine dello sguardo un punto fisso dove la focale si adagia per cercare uno spiraglio di verità che non si farà mai trovare. Così si costruisce un archetipo della contemporaneità, in un flusso cartesiano di movimenti e raggiri tipici del cinema delle origini, quando i film venivano concepiti come pure forme dell’avanspettacolo, da cui null’altro ci si doveva attendere se non il trascorrere mezz’ora, un’ora, un’ora e mezza in compagnia di personaggi stralunati, spadaccini coraggiosi e dame da salvare. In questa ultima versione, le dame non sono più da salvare, in un discorso sull’emancipazione femminile che va avanti ormai dai tempi non lontani della Sposa tarantiniana.

Lily James in Screen Gems' PRIDE AND PREJUDICE AND ZOMBIES.

Se i puristi hanno decretato il fallimento estetico dell’opera Pride and Prejudice and Zombies l’unica forma di parallelismo che si può dedurre tra la critica e la ricognizione intorno alla prefigurazione di una imminente morte del cinema, la si può addebitare all’incapacità di vedere la semplice cura del fotografico in un mosaico fluido di struggente perfezione. Il nuovo horror si poggia sul melodramma più kitsch, la commedia è stemperata nelle scene di fighting, la resurrezione del femminino dalle ceneri dello strapotere maschile si attua con la semplice dichiarazione di morte del cinema duro e puro. Ebbene, e sia così, allora: viva la fusione tra i generi in grado di riscattare un immagine cinematica piena di desiderio e morte. E’ la volontà di costruire un altrove scenico dove a comandare è il gesto minimo, concepito in sostituzione di un ribaltamento estetico che riporti l’immagine alla sua veridicità di matrice letteraria.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).