Ha ragione Alberto Crespi quando ha detto, alcuni giorni fa, al programma radiofonico Hollywood Party, che quest’anno a Venezia 70, Hayao Miyazaki, in Concorso con The Wind Rises (Kaze Tachinu, 2013, già uscito a luglio in Giappone), gioca in un altro campionato.
Forse davanti alla filmografia di Miyazaki bisogna rivedere i propri parametri estetici. I suoi film per il pubblico occidentale e soprattutto per quello italiano, sono una novità, essendo stati distribuiti a distanza di circa 20 anni dalla prima uscita in Giappone.
Il primo film di Miyazaki uscito in Italia fu Princess Mononoke (1997), in cui l’autore giapponese coniugò per la prima volta l’animazione disegnata con la computer graphic. Ma il pubblico non rispose positivamente all’uscita e disertò le sale. Questa è una cosa che si ripeterà per ogni altro film di Miyazaki, da La Città Incantata (2001) fino a Kiki Consegne a domicilio (1989, ma uscito in Italia nel 2013)  Per quale motivo?
Perché l’immaginario italiano è ancorato a quello filo-occidentale, americano, imposto dalla Disney, dalla DreamWorks, dalla 20 Century Fox, ovvero dai colossi americani, dalle major che impongono l’equazione cartoni animati-bambini. Il cinema d’animazione come forma d’arte è un concetto che non entra in testa.
E’ così che il cinema d’animazione giapponese, i cosiddetti anime, non entrano a far parte dell’immaginario italiano filo-occidentale. Non c’è nulla di male in questo. E’ semplicemente un dato di fatto, una constatazione di sguardo, di veduta politica dell’immagine.
Allora, se mi decidessi ad accostare la figura di Miyazaki a quella di Rossellini o di John Ford, molti non capirebbero, la prenderebbero come una forzatura. Anche i critici non vedrebbero di buon occhio questa posizione, la giudicherebbero intransigente, potrebbero affermare “la Pixar è meglio”, oppure “preferisco Biancaneve e i sette nani e La Sirenetta” a Porco Rosso e a La Città Incantata.
Potrebbero accusare Miyazaki di freddezza, persino di stalinismo, forse. Qualcosa del genere disse Marco Lodoli ai tempi dell’uscita in Italia del film con cui Miyazaki ha vinto Orso d’Oro a Berlino e Oscar come miglior fil  straniero, La Città Incantata.
C’è dunque da sorprendersi che l’occidente abbia riscoperto Miyazaki, la forza dirompente del suo cinema, un cinema per cui Akira Kurosawa andò in visibilio negli ultimi anni della sua vita, quando dichiarò di essere rimasto incantato da opere come Kiki Consegne a domicilio e Princess Mononoke, oppure quando inserì Il mio vicino Totoro nella sua personale selezione dei film migliori della Storia del cinema.
Non c’è da stupirsi se un cinema d’animazione così è preso sotto gamba, i suoi personaggi provengono da un altrove messianico, il messaggio anti militarista (e in alcuni casi antifascista, come nel capolavoro politico Porco Rosso, ambientato proprio in Italia) di molti suoi film, lo rendono forse un regista veramente anti-occidentale, anti imperialista e decisamente fuori dai canoni spettacolari dell’industria del papà di Topolino, la Disney, che ha inventato una vera e propria dittatura dello sguardo, imponendo con la forza del proprio marchio personaggi che si sono stampati nell’immaginario e che hanno tenuto banco per decenni nella memoria occidentale.
Miyazaki va ben oltre questo sguardo imperialista e da Nausicaa della valle del vento (1984) a The Wind Rises (2013), ha sorvolato tutti i generi con una netta predilezione per il fantasy, riuscendo sempre a sorprendere lo spettatore più attento ed esigente. Oggi i “convertiti” al suo cinema sono maggiori rispetto al passato.
In passato, negli anni ’90, alcuni suoi film erano visti da una ristretta schiera di seguaci e venivano bollati dal pubblico come “animazione diseducativa”, praticamente spazzatura, come fossero la faccia brutta sporca e cattiva del l’animazione.
Questa fu l’ideologia che andò per la maggiore verso la fine degli anni ’80, quando la guerra fredda batteva i suoi ultimi colpi dopo il crollo del Muro le ideologie filo e anti occidentali si sono sgretolate. Oggi che la definizione politica dell’occidente va ancora verso destra ma in pochi sembrano ancora farci caso e la società è definita “liquida”, senza più barriere, e anche il mercato si accorge finalmente delle opere del papà di Totoro, rendendogli il doveroso omaggio.
Anche se il pubblico italiano non capirà mai l’arte di Miyazaki, perché troppo ancorato a posizioni dell’altro secolo, questo può essere tranquillamente accostato ai grandi maestri. Tra Lang, Ozu, Rossellini e John Ford.

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).