We are the best

Nella Stoccolma del 1982 tre ragazzine adolescenti vagano per le strade alla scoperta della vita. Senza la tutela dei genitori, imparano a cavarsela da sole e decidono, per pura passione, di fondare un gruppo punk, quando tutti dicono che il genere è morto.
    Diretto da: Lukas Moodysson
    Genere: drammatico
    Durata: 102'
    Con: Mira Barkhammar, Mira Grosin
    Paese: SVE, DAN
    Anno: 2013
7.9

Lukas Moodysson, l’autore del piccolo-grande cult Fucking Amal (1998) (“prototipo” di La vita di Adele, e più bello del celebratissimo film di Kechiche per chi scrive), con We Are The Best mostra nuovamente la sua mano felice, lieve e furiosa al tempo stesso, abile nel ritrarre la spigolosa euforia, i tumulti, e le delusioni che connotano la (pre)adolescenza; il bisogno di amare qualcuno, qualcosa, sentirsi vivi insomma. In questa occasione Moodysson focalizza il suo sguardo su tre ragazzine nella Stoccolma degli anni ottanta decise a rompere gli argini del conformismo e l’atmosfera mummificata della società svedese attraverso un sano e vitale spirito punk.

Siamo nel 1982, e il periodo punk, quello classico almeno, è ormai finito, ma Bobo, Klara e Hedvig non demordono: ciò che vogliono, più di ogni altra cosa, è formare una punk band così da poter gridare al (loro piccolo) mondo con candido furore che cosa amano e cosa detestano. Chi sono. Come accadeva nell’esordio Fucking Amal, l’approccio di Moodysson, lieve e incisivo, trasmette lo spirito delle tre piccole protagoniste e ciò che tenta di placarlo, soprattutto.
Ma l’incandescente candore delle tre riesce a rompere gli argini del disfattismo dei fratelli maggiori, incupiti e disillusi, che hanno dismesso le vesti punk (classiche) e che si genuflettono ad un unico Dio, Ian Curtis, ascoltando esclusivamente i Joy Division. Bobo, Klara e Hedvig riescono a graffiare l’imbalsamata società svedese come farebbe un bambino alla sua festa di compleanno che scoppia palloncini, strappa la carta pesta, e va a chiudersi in camera con la musica a tutto volume, lasciando tutti inebetiti.
Moodysson – sicuramente non con la stessa potenza di Fucking Amal – contagia col suo ruvido candore che riversa nelle tre baby punker e nonostante non faccia e dica nulla di così travolgente, va comunque a segno. Il suo – almeno in questo caso e nel bell’esordio – è un cinema senza pesanti sovrastrutture, senza presuntuose e stantie tesi sociologiche, che va dritto al punto, e al cuore, che fa venir voglia di ballare in maniera scomposta senza pensare a nulla, invece di star fermi, ingessati, morti dentro, a parlottare stancamente di niente ai bordi della pista.

A proposito dell'autore

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Ha fatto e fa cose che con il cinema non c’entrano nulla, pur avendo conosciuto, toccato con mano, quel mondo, e forse potrebbe incontrarlo di nuovo, chi lo sa. Potrebbe dirvi alcuni dei suoi autori preferiti, ma non lo fa, perché non saprebbe quali scegliere, e se lo facesse, cambierebbe idea il giorno dopo. Insomma, non sa che dire se non che il cinema è la sua malattia, la sua ossessione, e in fondo la sua cura. Tanto basta.