J'entends plus la guitare

Gerard rompe il suo rapporto d'amore con Marianne, che inizia una relazione con un altro uomo. Gerard si innamora di un altra donna, quando viene a sapere della morte di Marianne.
    Diretto da: Philippe Garrel
    Genere: drammatico
    Durata: 98'
    Con: Benoit Regent, Johanna ter Steege
    Paese: FRA
    Anno: 1991
7.6

Nico è morta, ha avuto un malore ed è caduta dalla bicicletta, a Ibiza, con lei sono ormai anni che è finita, ogni tanto ci si rivede, ma quella storia durata 10 anni si era ormai conclusa anni prima.
Eppure la musa tedesca (già amante, ispiratrice o anche solo di passaggio nelle opere di personaggi come Alain Delon, Brian Jones, Jim Morrison, Lou Reed, Andy Wharol, Federico Fellini) continuava – più che a influenzare – a polarizzare i successivi film di Philippe Garrel, come “Elle a passé tant d’heures sous les sunlights”.

J’entends plus la guitare” è invece dedicato esplicitamente a lei. Una metabolizzazione cinematografica della propria autobiografia, alla quale Garrel ci ha abituati, che ripercorre i tormenti del finale della relazione con la modella e cantante, gli anni della tossicodipendenza e quelli da ormai separati.
Ed è una Nico – Marianne nella finzione, certo naïve come il mondo ha imparato a conoscerla, piuttosto maldestra e buffa, col suo vocione e il suo francese impastato. Addirittura un po’ stupidina. E però, di tanto in tanto lancia dei lampi come di una saggezza che si direbbe antica. Delle considerazioni improvvise e così disarmanti, che emergono da un sostrato di “gravità” che bagna continuamente Nico.
Qualcosa di diverso dalla tristezza, come spiega in una emblematica sequenza («gravità significa essere felici e saperne il perché»), e che costituisce quel suo fascino un po’ cupo. Intanto le donne intorno a Garrel – Gerard nella finzione – si avvicendano.
Nico lo ama. Lui forse cerca la donna del suo amico, forse no. Nico allora lo pianta, perché le donne se ne accorgono quando non le ami più, e ti prendono in contropiede.
Gerard non se ne capacita, ma va bè: arrivano nuove amanti. Nico va, Nico torna e Gerard arriva addirittura ad avere, con un’altra donna (nella realtà e nella finzione la Brigitte Sy), quel figlio che non era riuscito ad avere con Nico.
Ormai imborghesito, in qualche modo implicato con un quotidianità e normalità sempre respinte, Gerard non amerà che la lontana e perduta Nico.
Invece della dinamicità del carosello di amanti di “Sogno di una notte di mezza estate”, è nell’immobilità e nella claustrofobia di interni grigi e scalcinati che si sprecano considerazioni ciniche o idealistiche sull’amore.
È in quegli interni che si stufano le relazioni, si cimentano e tormentano, domandandosi in continuazione “mi ami?”. Questione che di per sé, nella sua serietà, è di già la pietra tombale di un amore.
Tant’è che quando, in risposta, Gerard giura a Nico “amour mortel” – amore fino alla morte, anzi di più: amore anche oltre la morte! – la scena tutta smentisce le sue splendide parole: la poca convinzione con cui i discorsi sono pronunciati, la distanza fisica tra i due personaggi, corpi immobili, rigidi e apatici, con gli sguardi rivolti altrove, e l’inevitabile diffidenza di Nico, incollata con le spalle al muro, a mo’ di sostegno.
Avendo ridotto tutto all’osso (dalle scenografie alla rumoristica, fino ai dialoghi, apprezzabilmente poco artificiali, e in qualche modo sempre eterei), a Garrel rimane il merito di aver elaborato un lutto trasfigurandolo cinematograficamente.

A proposito dell'autore

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Nato nel 1990 in Puglia. Laureato in Lingue e Culture Straniere all'Università degli Studi di Perugia con una tesi sul webdocumentario, vive a Parigi, dove cerca di specializzarsi nel campo della scrittura e realizzazione di documentari e si tartassa il fegato con interminabili notti di birra. Con alle spalle articoli per webzines, interviste e collaborazioni al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia e IMMaginario 2.0, ha co-realizzato il webdocumentario www.lamemoriaelaferitawebdoc.com