Il Pianista

Nel 1938 la Polonia viene invasa dai nazisti. Il pianista ebreo Wladyslaw Szpilman perde tutti i componenti della la sua numerosa famiglia, i quali verranno deportati nei campi di sterminio. Unico sopravvissuto all'atroce violenza, si rifugia tra i ruderi di una casa devastata dalle bombe.
    Diretto da: Roman Polanski
    Genere: drammatico
    Durata: 150'
    Con: Adrien Brody, Thomas Kretschmann
    Paese: FRA, POL
    Anno: 2002
8.4

Il Pianista (2002) è un raro caso di kolossal europeo (35 milioni) diretto da Roman Polanski, che all’epoca, veniva ancora considerato un importante ma paludato regista europeo, spesse volte più famoso per le vicende private che non per la qualità dei suoi film.
Difatti, è difficile trovare nella Storia del cinema l’accoppiata Oscar alla miglior regia-Palma d’Oro a Cannes, essendo quelli dell’Academy Awards e della Croisette due contesti e ideologie di cinema praticamente agli antipodi.
Da una parte la spettacolarizzazione, l’emozione espressa a grandi lettere, l’incendio delle passioni e uno stile chiaro e diretto. Un’estetica che si sa, ha quasi sempre premiato un cinema conservatore.
Dall’altra parte abbiamo un’idea di cinema limitrofo e sperimentale, quasi sempre basato su un budget basso e con temi quasi sempre gravi, sociali, e una tendenza ad evidenziare i lati più nascosti e improbi di un cinema comunque difficile ed impegnativo. Di conseguenza, un sistema valoriale simile ha portato alla premiazione di un cinema quasi sempre tendente al progressismo.

Con Il Pianista Polanski, dopo l’horror gotico La Nona Porta (1999), quasi un b-movie gotico hammeriano, di sicuro non capito e travisato dalla maggior parte dei critici, trova la sintesi aulica che porta all’unione impossibile tra i due “ordinamenti” sopra indicati.

Il film sulla shoah era di sicuro un territorio minato, Polanski si aggira nei meandri di una ricostruzione senza sbavature e dirige un’opera che commuove. Ma la sua operazione tende soprattutto ad ammonire severamente chi lo aveva accusato di non essere più lo stesso, riprendendosi lo scettro di grande autore.
C’è anche da dire che all’epoca Polanski aveva quasi 70 anni. Molti suoi colleghi europei a questa età o non c’erano più oppure erano arrivati ad una forma fisica, mentale tale da non potersi più impegnare in grandi produzioni, oppure (come Godard) da decenni ha continuato a dirigere opere sperimentali senza più avvicinarsi allo star system e al mercato.
Polanski a quanto pare fa eccezione. E’ come un Eastwood europeo. Per lui l’orologio biologico non esiste. Il suo cinema appartenente ad un’altra epoca è resistito al tempo per puro miracolo. La sua visione claustrofobica della scena, la sua riluttanza ad abbassarsi ogni genere di moda (come anche l’altro collega Woody Allen, che si è rivelato di nuovo autore fiammante con lo sconvolgente e siderale Blue Jasmine), la sua controriforma ideologica che vuole che la forma ellittica sia componente essenziale di una visione classica che travalichi le distanze cosmiche all’interno del quadro, tutta questa estetica della sparizione, sono come sopravvissuti nel cinema di oggi, dagli anni 2000, fino poi al folgorante trittico degli anni più recenti, che vedono dal 2010 al 2013, un rapporto tra il ritmo produttivo e la qualità delle opere, essere miracolosamente tornata a quella indimenticabile degli anni ’60.
A quanto pare, soprattutto nel caso specifico del regista polacco, si può affermare che il futuro appartiene al passato. E’ questa l’ideologia che viene ripresentata dal cinema di Polanski. Il Pianista rivede la Storia attraverso il filtro di una cosmogonia di parti che si specchiano tra di loro. L’odissea del pianista Sziplman è quella di ogni uomo. L’enigma della sparizione comporta un deragliamento aurorale interno al quadro e la distanza, sempre fondamentale, tra oggetto inquadrato e messa a fuoco del delirio, rimane il fulcro di un cinema che non si è mai piegato al didascalismo.
Il Pianista di Polanski chiarifica il metodo della restaurazione del classico come modello autoconservativo che rivendica il dominio dell’inquadratura come solco impresso sulla Storia.