Gebo e l'ombra

Fine dell'800. Gebo è un anziano contabile, lavoro con cui mantiene la famiglia, composta dalla moglie Doroteia e la nuora Sofia. La famiglia attende con impazienza il ritorno del figlio Joao. Con il suo ritorno vengono però alla luce fatti che potrebbero minare la stabilità del nucleo familiare.
    Diretto da: Manoel de Oliveira
    Genere: drammatico
    Durata: 95'
    Con: Michael Lonsdale, Claudia Cardinale
    Paese: FRA, PORT
    Anno: 2012
6.6

Il cinema di Manoel de Oliveira se ne infischia delle mode, ma non rinuncia mai a parlare della realtà che ci circonda. Non fa eccezione questo Gebo e l’Ombra, che è del 2012 (passò a Venezia, mentre a Parigi uscì il 6 settembre di quell’anno), ma ha seguito le ormai abituali traversie della distribuzione italiana, addirittura arrivando prima in televisione su FuoriOrario che in sala.

Tratto da un’opera teatrale del 1923, non teme di risultare statico e scostante con i suoi lunghi, interminabili piani fissi, come del resto d’abitudine per l’ultracentenario cineasta portoghese. Ma la falsariga di altri film straordinari quali Singolarità di Una Ragazza Bionda (2009) è pienamente rispettata: a saper leggere con attenzione e pazienza tra le righe, Gebo e l’Ombra sfiora un coacervo di temi e propone una falange di riflessioni che mettono radicalmente in questione la cultura contemporanea.
Basterebbe guardare al modo in cui Gebo e l’Ombra si rapporta con la menzogna: se essa rappresenta la possibilità di perpetuare uno stato di speranza (Claudia Cardinale, nei panni della mater familias, continua ad illudersi sul destino del figlio svanito da anni solo grazie alle invenzioni propinatele da Gebo, che le mente per evitarle altro dolore e crepacuore), alla lunga è invece proprio l’impostura a raggiungere le estreme conseguenze e a causare la rovina. La metafora è latente e suona come un monito che viene da lontano (viene da pensare a nomi come i nordici Ibsen e Strindberg, con la loro capacità di mettere in luce la profonda crisi delle istituzioni borghesi).
Il film però non è un attacco diretto alla famiglia e alle sue ipocrisie, come si potrebbe pensare. De Oliveira sostiene di essere partito da un ragionamento sul potere distruttivo del denaro, tema che costituisce senz’altro una delle pietre angolari del suo cinema degli ultimi anni.
Ma come spesso succede la ricchezza di suggestioni della sua opera è stordente; nel magma che si avverte sotto la coltre di comportamenti e discorsi azzimati, la presenza che si affaccia costante, aspra, sempre allontanata dai pensieri, è inevitabilmente quella della Morte, vero e proprio motore di ogni vicenda umana. Ne consegue un’ironia sottile sottile, ma percepibile in tutto il corso del film, che ha l’effetto di una lenta e calcolata orazione funebre, di un lungo ma inesorabile piano inclinato verso il nulla, con una macchina da presa che registra impassibile il declino e il destino di tutta una civiltà. Non è cinismo, si badi, e nemmeno disprezzo, quanto senso etico d’artista.
Nel mettere a fuoco minuziosamente le molte aporie in cui i personaggi incappano, Gebo e l’Ombra è una parabola filosofica dalle molte implicazioni, ma anche un epitaffio su qualsiasi pretesa di porre un argine al dolore e all’imprevedibilità dell’esistenza.

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Ha una foto di famiglia: Lang è suo padre e Fassbinder sua madre. John Woo suo fratello maggiore. E poi c'è lo zio Billy Wilder. E Michael Mann che sovrintende, come divinità del focolare. E gli horror al posto dei giocattoli. Come sarebbe bello avere una famiglia così...