Alabama Monroe Una storia d'amore

La storia d'amore intensa, assoluta tra la bella Elise, proprietaria di un negozio di tatuaggi e suonatrice di banjo, e Didier, un uomo romantico e ateo. La coppia ha una figlia, Maybelle, che si ammala. Elise e Didier dovranno farsi forza per superare questo dolore.
    Diretto da: Felix van Groeningen
    Genere: drammatico
    Durata: 111'
    Con: Veerle Baetens, Johan Heldenbergh
    Paese: BEL, OLA
    Anno: 2012
6.9

 
Alabama Monroe Una storia d’amore, il quarto film del fiammingo Felix Van Groeningen, è il trionfo del realismo e del coraggio. Prodotto da Satine Film, il suo titolo originale è The Broken Circle Breakdown: è stato pluripremiato in Europa e negli Stati Uniti ed è stato il rivale più temuto da Sorrentino – almeno così ci piace pensare – nella notte degli Oscar, che ha visto La Grande Bellezza vincitrice del titolo di miglior film straniero.

I protagonisti sono Elise (Veerle Baetens) e Didier (Johan Heldenbergh), rispettivamente una tatuatrice e un suonatore di benjo, appassionato di musica bluegrass. Ambientato in Belgio, il film inizia nel 2006 e mostra immediatamente la problematica: Maybelle, la loro bambina, ha un tumore. Il montaggio alternato, però, fa sì che si narri la malattia della piccola e contemporaneamente la storia d’amore intensa e totalizzante dei suoi genitori, iniziata sette anni prima.
È chiaro che questa modalità sia servita a non tediare l’astante nei cento minuti e a rendere la visione soft, nonostante la tematica.
Sin dal principio si intervallano sorrisi e lacrime; dolori e gioie. Non c’è un attimo di tregua: il filo conduttore sembra esser teso come la corda di un violino e non c’è nessun escamotage atto a mostrare una “realtà – finzione”: tutto è duramente schiaffato in faccia allo spettatore.
Drammi, sentimenti, strazi sono autentici e sono splendidamente interpretati da due attori che non risparmiano nessuna emozione. Da quando Maybelle muore la loro vita cambia e, inevitabilmente, ognuno reagisce a proprio modo dinnanzi alla perdita di un caro.
Anche in Rabbit Hole (2010) di John Cameron Mitchell l’elaborazione del lutto portò dure conseguenze. Elise e Didier affrontano il problema seguendo due istinti opposti: lei si aggrappa ai sogni e alla poesia, lui è cinico e razionale.
Nessuna delle due modalità è sbagliata, ma inevitabilmente le strade tendono a separarsi. Didier sa con chi prendersela: sa che il governo e l’etica non favoriscono la ricerca sulle cellule staminali e, in questo modo, non aiutano a guarire chi si ammala. Sa che moralismi, burocrazia e religione, talvolta, sono dei vincoli per la vita stessa. “L’amore è bello finché dura”, direbbe Verdone. Sembrerebbe proprio così. L’amore ti dà e toglie tutto: ti riempie con la gioia e ti svuota con il dolore, scrisse – non testualmente – K. Gibran.
Il dolore ti devasta, ti lacera e trasforma. Non è possibile sfuggirgli se è stato provato un sentimento tanto intenso, perché la sua forza è direttamente proporzionale a quella della felicità. La vita può andare avanti o può fermarsi; talvolta lo si sceglie, altre volte accade senza che si possa prevenire o prevedere. E non resta nulla, se non una canzone che possa accompagnare l’anima per il suo lungo o breve calvario.
Oltre a delle splendide inquadrature e a delle magistrali interpretazioni, è proprio il ritratto dei personaggi a convincere ciecamente; merito di una sceneggiatura accurata. Alabama Monroe va oltre i limiti e le barriere: come Sangue (2013) di Pippo Delbono descrive la fine della vita e l’inizio di una nuova esistenza. Meraviglia come un film tanto coraggioso, tanto importante e di valore abbia conquistato il cuore del pubblico ma non un meritatissimo Oscar.