Bella e perduta

Pulcinella è chiamato ad un compito cui non potrà rifiutarsi, ultimo desiderio del contadino Tommaso: salvare dalla macellazione un bufalo chiamato Sarchiapone. Pulcinella lo trova nella Reggia di Carditello, residenza borbonica di cui Tommaso si è preso cura per anni. Sarchiapone e Pulcinella si mettono in cammino in un paesaggio incontaminato bello e perduto.
    Diretto da: Pietro Marcello
    Genere: documentario
    Durata: 87
    Con: Sergio Vitolo, Tommaso Cestrone
    Paese: ITA
    Anno: 2015
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La difficoltà con il cinema di Pietro Marcello si avverte nei primi cinque minuti di Bella e perduta. Occorre un certo periodo all’occhio per abituarsi alla povertà francescana dell’immagine, inghiottita da un reale pregno di simboli e significati desueti, nascosti sotto le pieghe di una spoliatura dove l’estremo ed eterno ricordo di una luogo temporale che fu, riporta allo stato di veglia sepolcrale gli ambienti di un’Italia da sempre vilipesa e mai inquadrata con afflato vericista e denso di enigmi.

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E’ mai esistito nel cinema italiano una figura come quella di Pietro Marcello? Per semplificare le cose, diciamo che negli ultimi 30 anni, di cineasti come lui se ne sono visti pochissimi. La bocca del lupo (2009) si trattò di un’operazione irripetibile, una gemma di ardore primordiale che cantava le gesta degli ultimi, in uno scarno paesaggio filmato come se si trattasse di “rovine” di bellezza preistorica, con un lavoro di montaggio che prediligeva l’associazione visiva a chiasmo (Sara Fgaier è la grande complice di Marcello in questo lavoro di selezione/deselezione organica/inorganica di immagini in sommovimento estetico). la bocca del lupo poteva anche rientrare nella schiera delle opere di magnifica incompiutezza, chi non l’ha amato punta al dito sulla frammentarietà, sulla predisposizione ideologica a fare poesia su elementi talmente blandi da richiamare alla mente uno sguardo pasoliniano filtrato da un Rossellini manierista.

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Bella e perduta si situa di nuovo dalle parti del documento manierista, dove il formalismo acceso divampa in fiammate di autentico fragore estetico, nelle campagne fotografate con l’afflato silenzioso di chi, come Marcello, attende l’avvento della Grande Meraviglia semplicemente filmando il fuoco della legna e ascoltando le fiabe degli anziani pastori, facenti ormai parte di una natura morta in via d’estinzione. Si diceva della difficoltà di entrare dentro il film di Marcello, ma dopo lo spaesamento violento della prima parte, l’occhio di Marcello entra dentro la Reggia di Carditello custodita contro tutto e contro tutti da un contadino che ha fatto la guerra per mantenerla in piedi, mettendoci di tasca sua: da qui in poi Bella e perduta prende un’altra strada e si avvia a diventare la struggente testimonianza di una feritoia invisibile nel reale diegetico, una parentesi di forte suggestione visiva, che si fa quadro di avvenimenti invisi all’occhio. La testimonianza del fatto che un movimento invisibile nel tempo abbia cancellato un dolore primigenio e si sia fatto immagine, rendendo vana la decostruzione attuata dalla cornice formalista costruitagli addosso da Marcello, grande selezionatore d’immagini senza scopo e senza lucro.

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Nascendo dalla profondità di una natura la cui anima non trova congedo etico se non tra gli anfratti di un senso di dimenticanza crepuscolare, Bella e perduta si riallaccia a La bocca del lupo svolgendo un movimento a spirale che deontologizza il montaggio, snaturando l’immagine dei suoi connotati originari per immortalarla in un contesto di emozionalità istintiva, dove la catarsi avviene nel vuoto riempito dai silenzi e si attua lo scarto ermeneutico tra essere e vedere. Marcello in alcuni frangenti di Bella e perduta, come su La bocca del lupo ha fatto come l’Herzog di The Wild Blue Yonder (2005): ha saccheggiato un repertorio povero rendendolo nuovamente fruibile in un contesto “profano” epicurale e corsaro. L’entità del cinema di Marcello ha a che fare con qualcosa di non descrivile sul piano narrativo/emotivo, ma su un piano del tutto visivo. E’ dal visivo che nascono le sue invenzioni, le associazioni tra immagini del tutto aliene che rendono allo sguardo un nuovo domani ripescato per puro piacere d’invenzione da uno ieri mai compreso e svilito.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).