Solo Dio Perdona

Julien è allenatore di pugili di thai boxe a Bangkok. La madre è a capo di un'organizzazione mafiosa in America. Quando il fratello di Julien viene ucciso a Bangkok, la madre lo raggiunge per vendicarne la morte.
    Diretto da: Nicolas Winding Refn
    Genere: thriller
    Durata: 90'
    Con: Ryan Gosling, Kristin Scott Thomas
    Paese: FRA, THAI
    Anno: 2013
4.8

Diciamo subito come la pensiamo sul film: un passo falso, una nota stonata nello spartito di un regista che ci aveva abituato bene. Nicolas Winding Refn doveva confermarsi nuovo autore di culto della cinematografia mondiale dopo il clamoroso (e discusso) Drive, ma Solo Dio Perdona delude moltissimo le attese.

Difenderlo significa doversi arrampicare sui vetri, ma non pensiamo che ne valga la pena. In fondo, un brutto film dopo numerosi successi ci può stare.
Un film sbagliato non è l’epitaffio di un autore, anche se il tiro al bersaglio di chi non aveva apprezzato Drive e Valhalla Rising è inevitabile. Piuttosto, è meglio cercare le ragioni del fallimento. Che sono molte, ma possono essere ridotte a due in via principale. La prima è la ricerca di una stilizzazione estrema, che in Drive trovava un punto d’equilibrio quasi miracoloso, in una credibilità che era tutta e solo di genere, ma che del genere non si nutriva.

Un po’ come dire che Refn era riuscito nell’impresa di mettere tra parentesi il noir e tutto il suo ingombrante fardello cinefilo pur girando un noir. Con Solo Dio Perdona, invece, si rimane al di qua della libertà dalla cinefilia a ogni costo. Tanto che l’ostentazione con cui Refn gira molte sequenze (giusto a titolo esemplificativo: quella del combattimento tra il poliziotto e Gosling, o quella in cui il figlio scopre il cadavere della madre-castratrice e lo “penetra” con la mano) spinge a interrogarsi sia sul significato della sequenza sia sui possibili archetipi/omaggi.

Con ciò spezzando qualsiasi incanto, scivolando con troppa facilità dal sublime all’insignificante, quando non al brutto.
Non è perché Refn dica o suggerisca troppo all’interno della sequenza, che si ha questo fastidioso effetto di ridondanza, al contrario. È perché i codici del noir sono così asciugati da richiedere troppi interventi dello spettatore a colmare le voragini di senso che si aprono. Non si ha, in questo caso, un arricchimento di prospettive, ma un travaglio che porta, nonostante tutto, all’indeterminatezza. “Poter” voler dire troppe cose è come non dire nulla di preciso, spingere nel brusio indistinto ogni snodo di racconto o surplus di regia.

La seconda ragione che spinge Solo Dio Perdona nel limbo dei film malriusciti è nel suo impianto teatrale, in cui i personaggi sono puri segni (ma c’è chi li scambia per “carne”, istituendo paragoni improbabili con Lynch e Cronenberg) e le frequenti ellissi non sono compensate né dal décor né dalla musica.

Mettere in scena un teatrino di amori morbosi, vendette e risapute esplosioni di violenza (qui così prevedibili da far pensare agli ultimi e irritanti film di Kitano) è una palese ricerca di coolness, per niente mitigata dall’evidente “falsità” dei fondali.
Meglio sarebbe stato, a questo punto, mescolare un po’ le carte, inoculare qualche sequenza realistica, spezzare qua e là la trance ipnotica, che tra l’altro rimane interna alla scena e non si trasferisce sullo spettatore. Tali non possono certo essere la sparatoria contro i poliziotti o la sequenza (programmaticamente di culto) in cui Kristin Scott Thomas, al ristorante, sminuisce la virilità del figlio minore di fronte alla cantante-prostituta con cui egli si accompagna.
La speranza, ad ogni modo, è che Refn abbia in qualche modo l’energia di cambiare di nuovo rotta, dopo uno scivolone come questo. Ne ha il talento. Il coraggio non gli manca.
Rimane da vedere se si rende conto di essere ad un bivio della sua carriera, o se il tam tam della critica e dei sostenitori non lo spingerà a continuare su una strada in cui sembra avere raggiunto il limite.

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Ha una foto di famiglia: Lang è suo padre e Fassbinder sua madre. John Woo suo fratello maggiore. E poi c'è lo zio Billy Wilder. E Michael Mann che sovrintende, come divinità del focolare. E gli horror al posto dei giocattoli. Come sarebbe bello avere una famiglia così...