Un caffè a Berlino

Germania, tempo presente. Un ragazzo lascia l'Università e inizia un vagabondaggio per le vie di Berlino.
    Diretto da: Jan Ole Gerster
    Genere: drammatico
    Durata: 83'
    Con: Tom Schilling, Alexander Altomirianos
    Paese: GER
    Anno: 2012
6.9

Dall’alba al tramonto e poi ancora l’alba, una struttura che ricalca un po’ quella de Il sapore della ciliegia di Abbas Kiarostami: così Jan Ole Gerster, esordiente regista trentenne tedesco con esperienze nel documentario e nella pubblicità, conforma il suo primo lungometraggio di finzione, Oh Boy.

24 ore (senza caffè) a Berlino, seguendo Niko in una delle giornate più tumultuose della sua vita. Dopo aver mollato la ragazza alle prime luci di questa incredibile giornata, cercherà invano per tutto il giorno di avere un caffè per risvegliarsi, ma una serie di situazioni al limite dell’assurdo gli renderanno impossibile questo oggetto così semplice, così necessario. Tutto ciò che otterrà invece sarà sempre e solo alcol.
Niko, eroe passivo, disadattato, scollato ormai da una vita in cui «sapeva bene cosa voleva», si porterà stancamente da un luogo all’altro della città, frizionando fiaccamente con il sistema che gli è intorno, incontrando personaggi che da un lato lo affosseranno sempre più (il padre che gli taglia definitivamente i viveri) e dall’altro saranno forse determinanti nella sua finale rinascita, quando, alla nuova alba, dopo una giornata incredibile e senza chiudere occhio, dopo 24 ore dense di esperienze uniche, prenderà finalmente il suo caffè. Metafora del risveglio da un torpore esistenziale.
Oh Boy mette in scena un periodo di 24 ore in bianco e nero, per raccontare una Berlino – secondo molti co-protagonista del film – nei suoi luoghi e nei suoi personaggi più emblematici: l’appuntamento con lo psicologo per riottenere la patente dopo la segnalazione di guida in impercettibile stato di ebrezza e il diverbio con i due controllori per un viaggio in metro senza biglietto, che testimoniano l’attenzione quasi paranoica dei tedeschi per il rispetto delle regole; i teatri off con i loro autori saccenti e frustrati; le case borghesi in cui i teenagers stoccano droghe sintetiche in cameretta, mentre nonna sonnecchia ignara in salotto; i campi da golf dove i ricchi si sollazzano; i set cinematografici di film con ambientazione nazista; i bar di notte.
Tutto dipinto con dissacrante ironia, aiutati da un insolito sottofondo jazzy che, oltre a farsi foriero dell’idiosincrasia, dell’effetto comico, toglie però anche pathos ad alcune scene. Mette distanza, quasi a voler evitare di prendersi troppo sul serio. Emblematica, a tal proposito, la scena di sesso, indubbiamente correttamente girata, ma che si dissipa in una scena comico-grottesca, dissacrata ancora dal tocco del regista.
È forse questo il limite di un film che ha mietuto premi nel gala dell’autocelebrazione del cinema tedesco: temere troppo di prendersi sul serio? Il jazzy, composto da un giovane gruppo di studenti berlinesi, scompare solo nei momenti di picco negativo dell’arco drammaturgico dell’eroe e al suo posto torna il classico commento sonoro, a sgombrare le immagini da ogni décalage.
Il bianco e nero, il sottofondo jazz, il racconto della città, l’ironia, hanno richiamato inevitabilmente la Manhattan di Woody Allen, ma la scelta del bianco e nero, così come la musica, sono dovute, a quanto pare, al tentativo di mettere distanza dall’attualità, di creare un alone di atemporalità e di evitare, in definitiva, che Oh Boy venga considerato solo un “ritratto generazionale”. Definizione che Gerster rifugge fortemente.
L’ambiguità di interpretazione di alcune situazioni, e la disarmante semplicità che può celarsi dietro, sono la cifra artistica di questo film in cui apparentemente non sembra succedere niente, scandito non da prove ma dagli incontri, come da tipica struttura narrativa picaresca. Un film, secondo le parole del suo autore, «magari senza plot ma con una storia».

A proposito dell'autore

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Nato nel 1990 in Puglia. Laureato in Lingue e Culture Straniere all'Università degli Studi di Perugia con una tesi sul webdocumentario, vive a Parigi, dove cerca di specializzarsi nel campo della scrittura e realizzazione di documentari e si tartassa il fegato con interminabili notti di birra. Con alle spalle articoli per webzines, interviste e collaborazioni al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia e IMMaginario 2.0, ha co-realizzato il webdocumentario www.lamemoriaelaferitawebdoc.com