Il sicario Cogan deve uccidere due criminali di bassa tacca che hanno derubato dei mafiosi per cui lui lavora.
Diretto da: Andrew Dominik
Genere: gangster movie
Durata: 97'
Con: Brad Pitt, Ray Liotta
Paese: USA
Anno: 2011
Una completa nullità, nemmeno un brutto film, ma semplicemente un film inutile, nullo, un divertito pastiche di citazioni dal cinema dei fratelli Coen perché, se qualcuno ha fatto insinuazioni su un tarantinismo di maniera, sgombriamo subito il campo dagli equivoci: Tarantino non c’entra niente. Dominik ha il solo pregio di prendere il noir come uno spocchioso genere da decostruire in modo giocoso, ma senza mai conferire uno spettro di tragicità e di credibilità a tutto tondo a dei personaggi-tipologici che fanno finta di mimare il lavoro dei gangster, si atteggiano, sbandano sempre, trovano sempre la via della redenzione eterna attraverso la battuta pronta e il gioco di parole.
Il cast è a tratti impresentabile: Ray Liotta invecchiato, grasso e imbolsito è una mazzata nello stomaco, non lo si può vedere e ad ogni scena ci si chiede cosa sia stato ingaggiato a fare; James Gandolfini è fuori parte, fuori contesto, fuori registro, è un attore che può fare una ed una sola cosa: la serie tv I Soprano, è un attore che non riesce ad andare oltre il proprio cliché.
Gli unici due che si salvano sono Brad Pitt e Richard Jenkins, Pitt sfoggia un look decisamente fascinoso ed irresistibile, ma stavolta Dominik gli ha cucito addosso il film sbagliato.
Dal canto suo, il regista australiano, dopo due film molto distanziati negli anni, Chopper nel 2000, The Assassination of Jesse James by the coward Robert Ford del 2007, se ne esce con un questo Cogan (Killing Them Softly) nel 2012 e viene inserito nel concorso di Cannes 2012, davvero senza motivo.
Il motivo non sussiste se non per avere le star a Cannes. Dominik aveva ben impressionato con il film precedente, che era stato preso come uno western classico-postmoderno girato da un regista proveniente dal mondo dei video-clip, ma la pacatezza e il ritmo meditativo del primo qua si trasforma in una catatonica ripetizione della stessa nota stonata, il film non si rialza mai, viaggia sempre con l’andatura di una utilitaria che ha subìto diversi tamponamenti, arranca, non interessa mai, racconta una storia risaputa (il killer Pitt deve uccidere dei malavitosi che hanno rubato alla mala) e o fa nei modi più beceri possibili.
Un altro paragone che è stato fatto è con Drive di Nicolas Winding Refn. Ecco, là si aveva un regista alle prese con un progetto non suo, la storia è banale esattamente come questa del film di Dominik, ma la differenza sta nel peso dato ad ogni situazione, alla regia di Refn sempre sicura e puntuale, allo score intonato con gli ambienti e le atmosfere, alla fotografia pastosa nel film di Refn si contrappone la luce piovosa e buia del film di Dominik, il quale non riesce a dare senso neanche al visivo del suo Killing Them Softly che si riduce alla proclamazione del proprio nulla stilistico.
In futuro Dominik dovrà dare molto di più se vuole che la sua stella non ritorni nell’anonimato dal quale Brad Pitt ha tentato di farla uscire finanziandogli i due film in cui ha recitato. No, questo non è un sodalizio simile a quello Jimmy Stewart–Anthony Mann, non credo che Dominik abbia un grammo dell’intelligenza tattica di Mann, ci vorrà ben altro per riportare alla luce la potenza devastante del suo cinema cristallino e maiuscolo. Dominik dovrà accontentarsi in futuro di essere “il regista di The Assassination…”? Forse, ma la stella di Brad Pitt non ne subirà conseguenze, dai tempi del film di Dominik del 2007 la sua carriera ha subìto un’impennata travolgente, portandolo ad essere interprete maturo e saggio. In questo filmetto da “fuckin’-pay-me” l’unica cosa che si salvano sono i duetti col più grande caratterista hollywodiano in circolazione, Richard Jenkins, basta lui ad accendere il film, ogni sua parola, ogni suo gesto, l’espressione contratta di un attore con la a maiuscola che non si sorprende mai, ma vola sempre basso per non far vedere agli altri dove punta il suo sguardo assassino. Il film di Dominik si ferma alle sue pause contemplative, gli mette in bocca frasi magari ridicole, dopo aver sentito Obama pronunciare il suo discorso dopo la vittoria contro McCain al motto “yes we can!”, Jenskins si rivolge al sicario Pitt: “ehi, Obama sta parlando di te!”, Pitt gli risponde che lui la legge se la fa per sé.
Il film finisce con una dichiarazione di politica forte, peccato che lo stile-Dominik di forte non abbia proprio nulla. Il tempo ci restituirà un regista più attento a questi banali errori di tattica? Forse per Dominik abbandonare la retorica non sarà facile, basterebbe avere semplicemente una storia da raccontare.