Un mondo fragile

Nella Colombia odierna, un anziano contadino torna nella sua casa, ma non riesce ad instaurare alcun rapporto con la famiglia e con il villaggio natio. Il mondo intorno a lui sta cambiando, l’industrializzazione sta apportando modifiche sostanziali al modo di vivere nella campagna.
    Diretto da: César Augusto Acevedo
    Genere: drammatico
    Durata: 97
    Con: José Felipe Càrdenas, Haimer Leal
    Paese: COL FRA
    Anno: 2015
8.7

Dalla Colombia arriva un film meraviglioso, figlio prediletto di un cinema che si fa portavoce autentico di realtà pungenti e sottaciute. Un mondo fragile di César Augusto Acevedo, vincitore al Festival di Cannes 2015 della Caméra d’or alla miglior opera prima, racconta con semplicità disarmante la sofferente esistenza di una famiglia di “fattori”, in cui il padre Geraldo è allettato da tempo, a causa di disturbi respiratori, acuiti dalla preoccupante concentrazione nell’area circostante della polvere, che si produce bruciando i campi di canna da zucchero, dove la moglie Esperanza e l’anziana madre di lui, Alicia, lavorano sottopagate. In simili condizioni, la cura della casa e l’assistenza del figlio malato vengono affidate a nonno Alfonso, giunto in aiuto dopo essere stato per molti anni lontano dal piccolo podere.

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Il titolo originale “La tierra y la sombra” (“La terra e l’ombra”) suggerisce efficacemente il clima che sottende l’intera opera: vige un’economia rurale che bada prima di tutto al tornaconto personale del “capo”, oscurando l’indigenza delle braccia, che ne permettono la sopravvivenza. L’ombra è anche quella in cui vive Geraldo, chiusi gli scuri per non esporsi ai pulviscoli atmosferici: uno stato di perenne convalescenza, che l’ha gettato nella rassegnazione e nello sconforto, precludendogli l’iniziativa di cambiare il destino di chi gli vive vicino.

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La splendida, cinerea fotografia cattura l’arrivo e l’attiva permanenza di Don Alfonso, malvoluto dalla moglie, e nonostante ciò capace di provare un profondo affetto per i suoi cari, animato da una quieta saggezza della quale diviene principale destinatario il nipotino Manuel. All’ombra della vasta chioma dell’albero nel giardino, una panchina viene eletta a luogo d’incontro e confronto, di ristoro e riflessione, dove si può imparare e capire l’attenzione e il rispetto che ogni uomo deve alla natura. Quest’ultima costituisce il soggetto prediletto delle numerose, affascinanti inquadrature di cui si compone il lungometraggio, immagini che incantano per la loro trasparente veridicità, dal passo misurato, ma allo stesso tempo sostenute da dialoghi sentiti e vicende che raggiungono, verso l’epilogo straziante, livelli di tensione emotiva che commuovono.

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E’ proprio questa ricercata sincerità della rappresentazione, che autorizza una comunicazione così intima con il pubblico, che non necessita neppure degli aiuti emozionali derivanti da una colonna sonora extra-diegetica: il canto degli uccelli e degli insetti è la musica di questo mondo fragile, situato non molto distante da quello urbano, come si ha modo di percepire nell’ultima desolante sequenza e pur, tuttavia, chiuso in una penombra fumosa, che sembra non conoscere il tempo e le risorse della civilizzazione. Acevedo esordisce con equilibrio e coerenza, proponendo un ritratto che gode di una certa distinzione espressiva, in virtù della rinuncia ad una non necessaria enfatizzazione dello stile, che rimane puro, testimone verace, di un sistema in cui il rispetto della dignità umana viene sacrificato alle zuccheriere d’oltreconfine.

Qui potete trovare la video recensione di Raffaele Lazzaroni su Un mondo fragile.

A proposito dell'autore

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Classe 1995, in anni recenti si è incontrovertibilmente innamorato del cinema, interessandosi a qualunque genere di qualsiasi epoca, ma senza mai perdere la bussola della qualità artistica. Frequenta il DAMS a Padova e cura un suo canale YouTube di critica cinematografica, "Il taccuino del giovane cinefilo".