Helena Bonham Carter è un’attrice estremamente versatile, ha una carriera trentennale (la sua prima partecipazione è datata 1983, nella serie tv A pattern of Roses ad una dal 1983, anche se il suo primo film per il grande schermo è del 1985, in Camera con vista di James Ivory).

L’attrice inglese, classe ’66, è stata una delle attrici predilette da James Ivory, in film come (appunto) Camera con vista, Maurice e Casa Howard. In mezzo anche due produzioni italiane, una con Liliana Cavani nel suo Francesco, con Mickey Rourke e una con Franco Zeffirelli nell’Amleto con Mel Gibson e Glenn Close. In seguito l’attrice sarà protagonista di altri tre film molto famosi: l’ambivalente Frankenstein di Mary Shelley di Branagh, La dea dell’amore di Woody Allen e il cult cyberpunk di David Fincher Fight Club, quest’ultimo rimarrà uno dei personaggi più famosi della Carter, una di quelle performance che rimangono negli annali.
Nel 2001 inizia il sodalizio con il futuro marito, Tim Burton, con il quale la Carter lavorerà fino ai giorni nostri, in praticamente tutti i film del regista di Burbank, Frankenweenie escluso.
Da Il pianeta delle scimmie fino a Dark Shadows, passando per altre produzioni come ad esempio i quattro episodi della fortunatissima serie per famiglie Harry Potter, Harry Potter e l’ordine della fenice, Harry Potter e il principe mezzosangue, Harry Potter e i doni della morte parte 1Harry Potter e i doni della morte parte 2  l’attrice dimostra di adeguarsi in un certo senso al nuovo trend fantasy della nuova Hollywood digitale, preferendo sempre i ruoli della strega, con una certa dose di autoironia che stempera sempre il tono macabro dei suddetti film.
La Carter sembra l’attrice perfetta per interpretare i sogni fanciulleschi ed inquieti del regista-marito, le sue doti di comprimaria di lusso, di commediante drammatica, sempre in bilico tra il registro della tragedia e quello della farsa è ben esemplificato in opere quali Big Fish Le storie di una vita incredibile, Sweeney Todd Il diabolico barbiere di Fleet Street e persino nello scoppiettante e opaco Alice in Wonderland, dove l’attrice interpreta una lussureggiante Regina di Cuori che, anche grazie ad un lavoro di make-up che punta alla deformazione grottesca del personaggio, la Carter si impone come caratterista di primaria grandezza. In pratica si può quasi dire che l’attrice inglese ogni volta rubi la scena ai personaggi principali. In pochi riescono a tenerle testa.
Oltre al cinema fantasy la Carter ha brillato anche in altre più che lodevoli produzioni inglesi: il pluri premiato e classicissimo (quasi televisivo ma stavolta non è un dispregiativo) Il Discorso del Re e nel musical storico Les Miserables, entrambi del nuovo talento inglese Tom Hooper (da non confondere con il regista horror Tob Hooper, autore di Non aprite quella porta e Poltergeist).
In entrambi i ruoli la Carter dimostra di essere un’interprete matura e capace di dissimularsi nei più vari contesti con estrema facilità.
Quello che sorprende di questa grande attrice è l’impressione che non reciti affatto, la sua spontaneità imprime ai suoi personaggi un carattere di verità che sorprende e spiazza.
La Carter non pare avere nulla da dimostrare nel suo mestiere d’attrice, si diverte, sta sempre al gioco, ruba la scena a tutti consapevole che il cinema non è mai stato una cosa pesante e impegnativa o difficile, fa sembrare facile un lavoro che probabilmente nel segreto del set le costa molto più di quello di quello che appare effettivamente sullo schermo.
Far sembrare facile quello che è difficilissimo. E’ in definitiva il motore primario dell’azione nel cinema, chi ci riesce ha capito la lezione più difficile: apparire naturalmente connaturati ad un sistema visivo che tende all’impossibile accumulo di elementi eterogenei tra loro. In questo senso, c’è chi non riesce a tenere alta l’attenzione dello spettatore, c’è chi, come la Carter, riesce benissimo nell’intento di rimanere nella memoria.

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).