Richard Jewell

La guardia di sicurezza Richard Jewell, durante le Olimpiadi di Atlanta del 1996, sventa una strage scoprendo uno zaino pieno di esplosivi. Ma l’FBI non si fida del suo operato e, studiando la dinamica dell’accaduto, lo accusa di tentata strage.
    Diretto da: Clint Eastwood
    Genere: drammatico
    Durata: 131
    Con: Paul Walter Hauser, Sam Rockwell
    Paese: USA
    Anno: 2019
8.2

Richard Jewell è una serrata requisitoria morale. Clint Eastwood irrompe di nuovo sulla scena dopo il testamentario Il corriere (2018), dove lo stesso Eastwood aveva interpretato il ruolo dell’americano medio, messo alle strette dalla crisi e costretto, per non cadere in miseria, a lavorare per il cartello della droga messicano. Stavolta a finire sulla graticola è il sistema americano: il governo degli Stati Uniti, rappresentato dall’FBI e il giornalismo, vengono abbattuti senza pietà.

Eastwood stavolta prende, forse per la prima volta, come “eroe” un personaggio dalla dirittura morale cristallina, quasi un sempliciotto ai confini con l’ingenuità fanciullesca, un personaggio difficilissimo da tratteggiare senza scadere nella retorica e nella macchietta. La madre interpretata da Kathy Bates rientra perfettamente nel tipico caso della mater dolorosa, ma nella costruzione emozionale del dramma era necessario un simile contrappeso. Quindi non è questione di lagna programmata, la madre, così piena di pathos e priva di difese, come lo stesso Richard, conserva nel film di Eastwood i germi di quel sistema che si vuol mettere sulla graticola.

E così sia. Richard Jewell è un’opera di grande, ansiogena passione civile, il corpo istituzionale degli Stati Uniti viene raffigurato come una piovra priva di scrupoli, un sistema malato dove vige l’irregolarità ai più alti livelli. Jewell è la perla che ribalta l’ondata ricattatoria del sistema. I giornalisti, raffigurati nel personaggio di Olivia Wilde, sono parassiti sociali, raffigurati in modo così viscido da rasentare l’apologia. L’FBI di John Hamm è un potentato squallido che fa tremare i polsi, tanto ottuso quando inetto nel cercare le risposte sul misfatto nella più totale malafede.

In tutto questo, l’avvocato Watson di Sam Rockwell risplende di luce vivissima. L’attore, dopo la raffigurazione del poliziotto scemo di Tre manifesti a Ebbing, Missouri, torna ad alti livelli, con una performance da urlo. Il suo consueto stile, apparentemente cinico e svogliato, viene qui ribaltato nel ruolo dell’avvocato difensore che ha davanti il caso di un pover uomo qualunque stritolato dalle più potenti istituzioni del paese, quindi, da difendere a spada tratta.

Eastwood relega nell’ombra il personaggio della segretaria dell’avvocato Watson, Nadya Light. L’attrice Nina Arianda, già vista nel ruolo della moglie di Stan Laurel in Stanlio & Ollio (2018), tiene i tempi delle battute con tenacia, calibrando al massimo introspezione e suspence. Forse la si rivedrà più spesso come caratterista di lusso.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).