Shutter Island

1954. A Shutter Island, una zona costiera a Est degli Stati Uniti, due agenti, Teddy Daniels e Chuck Aule, vengono chiamati per investigare sul misterioso caso di una madre omicida, nell'Istituto Mentale Ashecliffe.
    Diretto da: Martin Scorsese
    Genere: thriller
    Durata: 138'
    Con: Leonardo DiCaprio, Michelle Williams
    Paese: USA
    Anno: 2010
6.6

Quando Martin Scorsese dirige Shutter Island (2010) ha in prospettiva non l’immaginario di Prison Break, ma quello de Il corridoio della paura (1963) di Samuel Fuller. L’incubo del protagonista Leonardo DiCaprio riguarda principalmente i campi  di concentramento di Auschwitz, e la scenografia del carcere riguarda la sfera mentale di un lager. Shutter Island ha un sottotesto paranoico di questo tipo.
La scena del confronto tra DiCaprio, Ben Kingsley e Max Von Sydow lavora su questo contesto ed è geniale, allo stesso tempo però, i siparietti con la moglie morte interpretata da Michelle Williams paiono delle stantie concezioni al registro mélo.

Eppure, anche con questi scarti di immaginario, così ambivalenti e in qualche modo finti, tendenti ad una sovrabbondanza visiva, questo tipo di cinema così classico e vintage, è l’unico che Scorsese può ancora permettersi di fare per non essere del tutto travolto dai modelli delle nuove generazioni (Inception di Christopher Nolan del 2010, suo eterno doppio speculare e bipolare).
Anche con la sua architettura classicista Shutter Island rimane una perla del perturbabile, un modello forse sconfitto dal tempo, una copia post temporum del grande cinema che è stato, una rivisitazione langhiana, un modo per fare sopravvivere una classicità di tocco, una immedesimazione con quei tempi morti che donano (a hanno donato) all’inquadratura la sostanza di una guerra psicologica e politica contro i demoni di Hollywood, che l’autore di Taxi Driver (1976) manda avanti dagli anni ’70.
In Shutter Island il punto di vista del paranoico è sempre condiviso nella sfera dell’inconoscibile. Il tetro plot narrativo preso da Dennis Lehane appare come un sottile rimasuglio del noir post bellico, quasi che Scorsese girasse ancora con un immaginario pre crollo del Muro di Berlino. La dicotomia rossi-neri in Shutter Island è nel sottotesto, è anche per questo che il film non è stato capito.
Con Shutter Island Scorsese vuole rifare un cinema vecchio, ammuffito, cadente, di cui non si ha più memoria, con quei carrelli laterali tesi ad evidenziare i differenti punti di vista, a rispecchiare ancora il desiderio del suo autore di resuscitare fantasmi di ridondanze visive, estetiche tendenti al surplus della forma. La mdp in Shutter Island contempla il vuoto intrinseco del tempo, si fa e disfa come elettrocardiogramma di una luce potente e fervida che porta le architetture visive in un altro tempo, in cui i piani orizzontali sono la vera cifra di distinzione rispetto alla frontalità dei primi piani, tipico delle serie tv.
Chi è abituato allo stile televisivo, immediato trendy di Prison Break, Lost, ma soprattutto 24 con Kiefer Sutherland/Jack Bauer, non ha motivo di entrare dentro il congegno narrativo di Shutter Island, sa già che non ci troverà l’adrenalina, il polso scenico sempre a mille, sempre pompato da un’immagine che schizza via a livello di un propulsore testosteronico.
Scorsese ha ancora l’ardire di amalgamare il tempo, fare un cinema misterioso e contare i minuti dentro il suo anagramma onirico. Sa cosa significa liberare l’immagine dal fardello della spiegazione a tutti i costi e si emancipa dal resto delle produzioni per un eccesso di grazia contemplativa.
Allora ha importanza che forse già dopo mezz’ora lo spettatore possa aver intuito che il detective DiCaprio è il paziente/protagonista di un’allucinazione di 138 minuti? Forse no. Forse la verità sta altrove. Forse l’ellisse del tempo è ciò che serve a Scorsese per agguantare ancora i misteri della sfera dell’inconscio, fornendo allo spettatore un romanzo gotico che assomiglia ai grandi film che John Carpenter girava negli anni ’90, gli horror imbevuti di metacinema come Il Seme della Follia (1994).

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).