Seven

Un killer psicopatico è il responsabile di una serie di efferati delitti. Il Detective Somerset e il suo giovane nuovo assistente Mills dovranno risolvere l'intricato caso.
    Diretto da: David Fincher
    Genere: thriller
    Durata: 127'
    Con: Brad Pitt, Morgan Freeman
    Paese: USA
    Anno: 1995
8.1

Il secondo deflagrante lungometraggio di David Fincher Seven, è un thriller atipico (quasi privo di suspense) e nonostante questo di rara potenza, ambientato in una città americana senza nome, metropoli buia, bagnata da una pioggia incessante: la Sodoma contemporanea.

Al centro del plot c’è la “collaudata” coppia di poliziotti tipica del cinema hollywoodiano, il nero e il bianco: il primo (Morgan Freeman) è un detective di mezza età a pochi giorni dalla pensione, saggio, intelligente, colto e soprattutto disilluso; il secondo (Brad Pitt) invece, è un rampante ragazzotto americano, sicuramente più ingenuo che desidera emergere nella “città del diavolo”.
Vi è un non comune approfondimento psicologico dei due: questi non sono semplicemente delle figure funzionali all’avanzamento della storia, entrambi portano con sé un vissuto, un diverso bagaglio culturale, e una visione del mondo quasi agli antipodi, e tutto ciò avrà una funzione ben precisa nel dipanarsi dell’intreccio.
I due si trovano a dare la caccia a un omicida seriale piuttosto sui generis, il primo tratteggiato da Fincher, che sembra avere una predilezione particolare per personaggi di questo tipo.
In Zodiac (sua terz’ultima, e notevole, pellicola) il serial killer senza volto, motore della vicenda, agiva in maniera insensata, colpendo chiunque (tassisti, giovani coppie ecc.).
Nella pellicola in questione invece, ha un piano ben preciso, si serve addirittura come filo conduttore per i suoi delitti dei sette peccati capitali – come viene detto nel film ad un certo punto “è un predicatore, e gli omicidi sono i suoi sermoni” – è convinto che le sue azioni abbiano un senso, legittimato addirittura dalla religione.
È convinto di agire in nome di Dio. John Doe (nome proverbiale americano dell’uomo qualunque) imbastisce un piano che vedrà nel potente e a dir poco angosciante finale, la luce.
Quest’ultima è presente letteralmente, dato che si tratta dell’unica sequenza in tutto il film ambientata in pieno giorno.
Nel deserto viene infatti recapitato un pacco che determinerà l’esplosione di violenza finale, completando così l’ingegnoso disegno dell’omicida che coinvolgerà lui stesso (il suo peccato capitale è l’invidia) e uno dei due poliziotti (quest’ultimo macchiato dal peccato d’ira).
La vicenda si svolge in una settimana, ha inizio il lunedì con il ritrovamento della prima vittima (un obeso, evidente peccatore di gola) e termina la domenica: i sette giorni della creazione, emuli di quella divina.
John Doe attraverso la morte e la distruzione vuole fare tabula rasa del mondo contemporaneo meschino e corrotto, ed essere così d’esempio, per fondare un nuovo mondo, depurato dai peccati che ogni giorno vediamo commettere nelle strade, per citare le sue parole.
Che dire, una visione così cupa e morale in un thriller a stelle e strisce è davvero insolita, perfettamente condensata nella bella battuta finale, detta in voice over, da Freeman: “Hemingway ha detto che il mondo è meraviglioso e vale la pena di lottare in suo nome; sono d’accordo solo con la seconda parte”.
E il tutto incorniciato dalla messa in scena postmoderna di Fincher (già dai titoli di testa, caratterizzati da un montaggio angosciante e complesso accompagnato dal sound, anche questo angosciante, e acido, dei Nine Inch Nails).

A proposito dell'autore

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Ha fatto e fa cose che con il cinema non c’entrano nulla, pur avendo conosciuto, toccato con mano, quel mondo, e forse potrebbe incontrarlo di nuovo, chi lo sa. Potrebbe dirvi alcuni dei suoi autori preferiti, ma non lo fa, perché non saprebbe quali scegliere, e se lo facesse, cambierebbe idea il giorno dopo. Insomma, non sa che dire se non che il cinema è la sua malattia, la sua ossessione, e in fondo la sua cura. Tanto basta.