Killer Joe

Un ragazzo escogita un piano per uccidere la madre. Per farlo assolda Killer Joe. Ma le cose prenderanno una piega diversa da quella che lui pensava.
    Diretto da: William Friedkin
    Genere: thriller
    Durata: 102'
    Con: Matthew McConaughey, Emile Hirsch
    Paese: USA
    Anno: 2011
6.8

Esiste un cinema della perfezione, dell’Ordine, della struttura, dell’organicità messa in piedi come una cattedrale ed esiste il cinema cosiddetto underground, un cinema più libero, meno compromesso con la gestione degli ingenti finanziamenti profusi dalle Major. Esiste allora The Dark Knight Rises di Nolan, dove il regista inglese decide di sfondare il muro del tuono prendendo di petto il personaggio di Batman e imbastendo una retorica della spettacolarità tesa all’elaborazione di un progetto ampio ed eterogeneo nella sue sfaccettature, un cinema in sostanza che pretende e vuole dichiaratamente piacere al più largo numero di spettatori. Un cinema così i soldi la box office le deve fare per forza, il film quindi ha l’obbligo di essere superiore in tutto e per tutto ad ogni altra produzione. Questo Nolan.

Il cinema underground, quello fatto in economia, (per carità non si sta facendo di ogni erba un fascio!) non ha problemi con le Major, non è strettamente controllato dalle logiche del box office e può permettersi di parlare ad un ristretto numero di persone. E’ il caso dell’ultimo, misero filmetto dell’ex grande William Friedkin. Il regista di Il braccio violento della legge (The French Connection), L’Esorcista ( The Exorcist), Il Salario della paura (The Sorcerer), Cruising,  Vivere e moriere a Los Angeles (To live and die in L.A.). Che fine ha fatto quel regista che riusciva ad istallare in ogni suo film un motore micidiale che rombava e dava la sensazione di non stare perdendo il proprio tempo?
Cos’è questa squallida anarchia di tono? Perché questa pantomima finto-audace? Ma veramente si pensa che spaccando la faccia a mezzo cast si possa fare del cinema? Friedkin aveva abituato a ben altre visioni, aveva lacerato lo schermo con opere ambigue e necessarie, in questo Killer Joe il cast  è fuori uso, essendo Friedkin di tutt’altra generazione rispetto ai vari Gina Gerson e Emile Hirsch, non si rapporta a loro in modo giusto e li usa come tritacarne. Molti si sono divertiti, poveri loro se gli bastano il gore e il sangue per farsi quattro risate!
Certo, bisogna dirlo: mai un film di Friedkin era stato tanto violento, mai il regista aveva accentuato in maniera tanto manifesta il disgusto e la provocazione fine a se stessa.

L’intento è dissacrare, il motivo è sconosciuto, come per dire: al male non c’è spiegazione, esso esiste e si fa beffe di tutto e di tutti.
Quindi si tratta di un film sul male? Su una vendetta al contrario? Chi è che tiene i fili di questa bolgia controriformista? Friedkin intende forse per la prima volta spostare i termini della visione, intende eliminare ogni steccato di buon senso e di logica e puntare tutto sul livello della ieraticità dell’atto mostruoso.

Si tratta allora di un film esplicitamente maleducato, un’opera pregna di odio sociale, annichilita da un verbo sadico e mai domo. Come un demonio rivelatore. Ma rivelatore di cosa? Dello squallore della provincia americana? Friedkin mostra per la prima volta nella filmografia la pornografia come atto naturale, come fosse la normalità di una silenziosa e mediocre assenza di giudizio morale.
Un atroce tonfo nelle acque putride delle umane miserie.
Ma chi ha bisogno di sentirsi dire ciò? Chi ha bisogno di un cinema così rivoltoso?
Si può pensare a Killer Joe come opera politica contro la società e contro il cinema stesso?
L’atto violento che supera di slancio la prolissità della trama. Un cast di non attori che si trasforma in una giungla selvaggia di bestie che si attaccano l’un l’altro. Ma a cosa serve, di preciso, il cinema? A mostrare un laido bordello in fiamme? A spargere odio sociale? Dove va a parare questo scherzo di Friedkin, cineasta che stavolta si è spinto su un territorio non suo, quello dello sberleffo, della situazione macabra ma fine a se stessa, della reiterazione verticale della violenza.

Killer Joe è un film che non funziona mai, non decolla, quel che è peggio è che neanche interessa, lo si sta a guardare in attesa del prossimo scoppio di follia.
Friedkin la follia non sa più dove stia di casa, una volta il suo cinema serviva a disvelare il reale, aveva una genia irrequieta e molto classica. Qua il film è talmente terra terra che si capisce già subito dove voglia andare a parare, ma gli eccessi di violenza sono incomprensibili. Killer Joe sembra una lotta di wrestling, del tutto scorticata, come un film brutto sporco e cattivo, per citare un famoso film di Scola del 1974, ma di onestà non v’è traccia. Alcuni diranno chi se ne frega dell’onestà. Ok, ma allora il cinema a che serve? Sono io che mi faccio un mucchio di domande che per forza di cosa non potrebbero comunque ottenere mai risposta? Il cinema di Friedkin è colato a picco con questo film che non affascina mai, rompe ogni rapporto con lo spettatore, forse è questo che vuole, farsi odiare, e il pubblico spesso applaude proprio perché vuole redimere la propria prospettiva troppo pulita sulle cose e  vuole un cinema irregolare.

I preferisco il cinema studiato al millimetro, quello che ha urgenza di dire qualcosa, quello pensoso e sospeso, non quello che ti si pianta in faccia così, tanto è meglio non sentirla l’urgenza della visione e se la violenza qua viene usata solo come un machete da cui eruttano i demoni di una mente malata, agli spettatori non ancora ottenebrati non resta che una cosa: astenersi dalla visione di un pastrocchio tanto estroflesso nel ridicolo, quanto spartano nella costituzione. Rivogliamo il benedetto fuori campo! Rivolgiamo il cinema pensoso! Rivolgiamo il cinema costoso. Perché la povertà di mezzi poche volte si sposa con il grande cinema.
In definitiva, che Friedkin avesse un minimo di contengo lo dimostra il fatto che i suoi film non sono invecchiati male. Ma in Killer Joe Friedkin manifesta la lesa maestà dello svelamento di un dirupo lisergico, da cui il regista non sembra essersi voluto risollevare. Insomma, Friedkin sbanda alla grande, ma a lui sembra andare bene così, quasi che le tonnellate di sadismo di questo quasi-intollerabile film abbiano la funzione di essere apertamente rifiutate dallo spettatore meno avvezzo. Quasi come fosse un’offesa.

Friedkin offende ma senza avere molto da dire, si diverte con un cinema-tritacarne che fa della mancanza di contenuto il suo punto forte, svelando la proprietà fallace del cinema, che rimane attonito di fronte ad ogni scena di questo che, senza dubbio, si può considerare forse un monstrum anticatartico di immani proporzioni, in cui l’acido muriatico diventa il collante di una follia sociale senza possibilità di redenzione alcuna.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).