A prima vista non si direbbe, ma tra Faust (2011) di Aleksandr Sokurov e Il Grande e Potente Oz (2013) di Sam Raimi ci sono diversi punti in comune. E’ il cinema dell’oltre-mondo che tenda di oltre passare l’immaginario di riferimento.
Sokurov e Raimi condividono una concezione parallela del cinema come prisma puro e inscalfibile, ottenendo la stessa mise en abime, con un cinema pulito e intonso, grandioso e leggero (seppur a prima vista il Faust sokuroviano possa sembrare un’opera pesantissima e verbosa, ma è un’impressione passeggera).

La genuinità delle visioni “oltre” di Sokurov e Raimi spinge a pensare ad una concezione puramente filosofica e di pensiero di estetiche diversissime che vengono accomunate dall’identica propensione alla magnificazione dell’inquadratura che segno del passato rivisto con occhio modernista e di conseguenza perpetuo, infinito nella finitezza della visione. Essendo la visione sempre e comunque una questione relativa all’esperiezna effimera, non duratura. Ecco, in questo senso, Sokurov e Raimi tentato di prolungare l’ebbrezza della visione nel tempo.
Faust e Il Grande e Potente Oz sono opere che parlano ad un pubblico eterogeneo, le loro visioni comprendono un mix di morte e lussuria visiva, una ricerca inesausta della perfezione del visivo ottenuto attraverso la deformazione grottesca dell’immaginario.
Entrambe le due opere sono il frutto di una chiara manipolazione di immaginari novecenteschi estremamente abusati.

Difatti, del Faust di Goethe esistono ben 15 versioni precedenti a quella di Sokurov, tra le più famose quella di Murnau (1926), e quella stralunata e folle di Svankmajer (1994) e persino Faust, Love of the Damned, pessimo horror di Yuzna (2001).
Il Grande e Potente Oz ha alle spalle un illustro predecessore del 1939 a firma Victor Fleming, Il Mago di Oz con Judy Garland e il misconosciuto seguito firmato da un tecnico del suono che ha collaborato con Lucas, Walter Murch, Nel fantastico mondo di Oz (1985), con una spiritata Florinda Bolkan.
Il film della Disney di Raimi intende essere il prequel del classico cult di Fleming, ma in pratica non c’è alcuna operazione nostalgia, il fantasy è una originale rivisitazione dei topoi letterari che funziona per puro miracolo di cinema, un sorprendente, abbastanza eclatante (per chi lo ha capito, a dir la verità pochi, purtroppo) successo su cui in pochi avrebbero scommesso.

Questa funzione di rimodellamento di un immaginario pre esistente da scattare in Sokurov e Raimi un sottile piacere per l’invenzione visiva inconsueta e spiazzante.
Il tratto distintivo del Faust di Sokurov è la raffigurazione di un cinema pittorico in cui i personaggi vagano in attesa di una evento che porti ad una rivelazione dei loro ruoli all’interno del mosaico.
Ciò avviene in modo del tutto inatteso e lieve, rendendo la visione un momento magico, mefitico che funziona come un infinito climax, in cui la sospensione del giudizio si erge maestosa.
L’unica cosa che si può fare davanti al Faust di Sokurov è lasciarsi trasportare dalle onde emotive di un autore in perenne ricerca del Sacro Graal della visione eterna. Si può dire che Sokurov lo abbia trovato alla grande. Quella del Faust è una visione che non si dimentica.
Il Grande e Potente Oz si fonda sul fascino di scenografie puramente in stile Disney che Raimi, forte della sua esperienza con la saga horror de La CasaL’armata delle tenebre, porta ad un livello successivo, rendendo al fantasy quella leggerezza folle che era mancata ai film di Jackson, come Il Signore degli Anelli, in cui l’opera di Tolkien veniva messa in scena come fosse la Bibbia e il King Kong del 2005, in cui le pompose e ricchissime tre ore mal si sposavano con le esigenze ben più modeste e leggere del genere.

Dice bene, in sintesi, chi ha affermato che l’Oz di Raimi assomiglia ad una versione de L’armata delle tenebre riletta attraverso le atmosfere Disney: la costruzione dei fondali è molto più innovativa e coinvolgente di quella vista nell’Alice di Tim Burton, il cast lavora a dovere, le tre streghe, Mila Kunis, Michelle Williams e Rachel Weisz sono un colpo di genio di casting e l’operazione attua un livello di significanza scenografica degno del Luhrmann di Moulin Rouge!
Grazie al lavoro teorico di Raimi il fantasy torna a pensare. Non è facile dare senso allo scenografismo Disney, ma a quanto pare Raimi sa il fatto suo e si conferma (con in passato forse non si era visto in modo così marcato) un “comandante” allo stesso tempo giocoso e zelante.
Chissà fino a che punto si possa attribuire alla genialità di Raimi il successo di un fantasy come il Grande e Potente Oz, quanta percentuale si può dare al Caso? Veramente alcuni film riescono semplicemente meglio di altri grazie ad elementi che esulano dal puro atto del dirigere?

Il cinema è un lavoro di squadra, se una bella invenzione che si vede in un film, viene attribuita al talento del regista,  quest’ultimo potrebbe non aver avuto voce in capitolo e, il merito dovrebbe invece andare al direttore della fotografia o allo scenografo o al montatore, ma ci sono troppi brutti film in circolazione per prendere per buona l’ipotesi del Caso, quindi il cinema non è fatto “solo” dal regista.
Raimi ha contribuito alla costruzione di un felice connubio tra materiali in contrasto tra di loro, e ne ha saputo far emergere un sapore diverso ogni volta che lo si vede. E’ raro che questa magia accada, ma forse le cose si erano messe per il verso giusto già in fase di produzione.
Dopo il grande successo di Alice in Wonderland, la casa di Produzione di Topolino ha deciso che si poteva continuare sulla strada della riscoperta dei classici, riuscendo a confezionare un prodotto di molto superiore rispetto al kolossal di Burton.

Forse l’Oz di Raimi è la versione riuscita del kolossal carrolliano di Burton.
Il cinema viene concepito e fruito in modo inaspettato, sia da parte di chi lo fa, sia da quello di chi guarda, nella convinzione che le immagini non saranno mai eterne, ma sempre un surrogato di una esperienza precedente, che tenda a migliorare quello che c’è stato prima, in un confronto/scontro tra ieri e oggi, in cui a farla da padrone è una linea sottile che tiene unite le due sponde.
Sokurov e Raimi hanno capito che il cinema è inganno e hanno colpito l’immaginario con il loro cinema dell’oltre visione. Agli spettatori l’onere di conferirgli lo scettro di un’autorialità sempre troppo negata.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).