Stoker

La famiglia Stoker viene colpita da un grave lutto, il padre muore in un incidente. In seguito arriverà lo zio Charlie. La figlia India era sempre rimasta all'oscuro dell'esistenza di zio Charlie.
    Diretto da: Park Chan Wook
    Genere: thriller
    Durata: 99'
    Con: Mia Wasikowska, Nicole Kidman
    Paese: UK, USA
    Anno: 2013
6.7

L’esordio di Park Chan-Wook, Stoker, a Hollywood sulla carta faceva tremare i polsi: visti gli esiti per lo più fallimentari negli USA di grandi registi asiatici come John Woo, Tsui Hark e, da ultimo, il connazionale di Park, Kim Jee-Woon, c’era da temere come minimo che il cineasta della “trilogia della vendetta” e di Joint Security Area si trovasse spaesato nella macchina produttiva a stelle e strisce e partorisse un film di poco conto.

Nulla di tutto questo: Stoker è un film nero e potente, perfettamente in linea con gli standard abituali di Park. E quel che è meglio, l’esito positivo è raggiunto prendendosi come d’abitudine molti rischi, lavorando con i generi (che Park dimostra di conoscere e padroneggiare in modo stupefacente), occhieggiando a Hitchcock solo lo stretto indispensabile, con una padronanza stilistica che ha pochi eguali al mondo.
Stoker è la storia di una famiglia a pezzi, ma è prima di tutto un film che immortala, costeggia, misura e s’immerge nell’ossessione della famiglia come istituzione e negli effetti che questo comporta. Scegliendo il punto di vista della problematica India Stoker, diciottenne figlia unica di famiglia ricca e con molti segreti.
La perdita del padre, il rapporto conflittuale con la madre e l’arrivo in casa dell’ambiguo zio Charlie, che si rivela ambiguamente attratto tanto da lei quanto dalla cognata, sono il fulcro di una vicenda che si sviluppa atttraverso pulsioni, omicidi, disvelamenti, e che guarda (più che all’Hitchcock di L’ombra del dubbio, come hanno detto un po’ tutti) alla saga di Halloween e alla rilettura che di recente ne ha abilmente tentato Rob Zombie – con un dittico di film non sempre apprezzati come meritano.
“La famiglia è per sempre” ricordava il sottotitolo italiano del secondo Halloween di Zombie. Potremmo in un certo senso dire la medesima cosa della famiglia Stoker. In cui lo zio uccide il fratello, concupisce la vedova, instaura una relazione ambigua e straniante con la nipote, al punto da comparire come un fantasma (ma anche come un angelo custode) nei momenti più critici e rendere palesi ad India, la vera e unica protagonista di tutto, i suoi più intimi e ferini desideri.
Prendiamo un paio di sequenze per spiegarci meglio, cominciando da quella in cui India viene sbeffeggiata dai compagni di scuola (che storpiano il suo cognome in “Stroker”, letteralmente “segaiola”: ovviamente la traduzione italiana fa perdere il doppio senso). Lo zio Charlie appare dal nulla a difesa della ragazza, anche se India si difende rabbiosamente. È il prologo ideale all’altra, straordinaria sequenza, quella del bosco, in cui la rivelazione in qualche modo si compie. India desidera il sesso, ma ne ha paura.
Il malcapitato ragazzo che tenta di forzarla ad un rapporto viene prima pestato dallo zio e poi ucciso con l’uso improprio di una cintura, in una forma che suggerisce più un gioco sessuale a tre che un’esecuzione.
Dopo l’omicidio, vediamo India sotto la doccia intenta a masturbarsi. Ora, se dietro questa concatenazione di sequenze in evidente correlazione tra loro, non si riesce a vedere il disegno metaforico, è anche lecito interrogarsi su un film poco riuscito. Ma sarebbe un grave errore.
La regia stilizzata e superba di Park racconta in realtà – con la chiarezza sintattica di chi sa cosa dice e non ha necessità di scorciatoie – come l’ossessione di India per la sua famiglia, alla stregua di Michael Myers, nasconda la sua pulsione a uccidere e a distruggere il mondo circostante, spezzando qualsiasi tabù e ogni parvenza di legge (come il finale col poliziotto dimostra, riallacciandosi all’incipit). Tutti i personaggi sono in qualche modo proiezioni della ragazza ed esistono nel film solo in sua funzione. India uccide col loro schermo.
Alla fine, quando non può più nascondersi, fa da sola. Ne viene certo fuori, se si vuole, un quadro desolato e idealmente figlio di ogni crisi e confusione in cui si dibatte l’America. Ma la lettura meramente politica sarebbe riduttiva.
La realtà è che la famiglia non è in nessun modo un porto sicuro. Di più. È addirittura il trampolino di lancio verso i delitti più efferati. Forse questo lo sapevamo, ma non è detto che lo sapessimo con la chiarezza con cui lo mostra Stoker.
Se poi vogliamo dirla tutta, la famiglia in Stoker è né più né meno che il fulcro di ogni male: una simile conclusione ce la potevamo anche aspettare dal regista di Sympathy for Mr Vengeance, ma chi avrebbe detto che sarebbe stato possibile enunciarlo con tanta drammatica coerenza, oggi, in un film americano, senza perdere nemmeno un po’ della lucidità e del dolore (vero) con cui Park ha imbastito le precedenti opere? India è un personaggio lacerato ed estremo non meno del prete vampiro di Thirst, imbottito di religione ma proteso irresistibilmente verso il male. India ha solo bisogno di liberarsi dai vincoli sessuofobici e incestuosi della sua famiglia per diventare veramente se stessa, per fare a pezzi il mondo come lo conosciamo, e in cui hanno cercato di farla vivere.
E se alla fine non c’è nessuna catarsi, è solo perché la sua vendetta (un’altra vendetta) è appena cominciata.

A proposito dell'autore

Avatar photo

Ha una foto di famiglia: Lang è suo padre e Fassbinder sua madre. John Woo suo fratello maggiore. E poi c'è lo zio Billy Wilder. E Michael Mann che sovrintende, come divinità del focolare. E gli horror al posto dei giocattoli. Come sarebbe bello avere una famiglia così...