Da J.J.Abrams a Dexter fino a Grey’s Anatomy passando per la Pixar, Paul Thomas Anderson, i fratelli Coen e Christopher Nolan. Cos’è il cinema oggi e dove sta andando, quali sono le categorie estetiche rispetto agli anni ’90, esiste ancora un cinema d’autore, un’autorialità sommersa? Lo potremo mai sapere grazie ad una distribuzione che impedisce a molti titoli di giungere nelle nostre sale e nei nostri video store? In Italia non sono usciti gli ultimi film di registi come Sissako (Bamako), Philibert (Retour en Normandie), Béla Tarr (The man from London), Schroeder (L’avvocato del terrore è uscito in libreria in vendita ma non a noleggio), Agnes Varda (Les plages d’Agnes), Hou Hsiao Hsien (Three times è passato solo su fuori orario), persino un documentario di Herzog “Encounters at the end of the world”, e poi Suzuki (Operetta tanukigoten), Alain Cavalier (Le filmeur e Iréne passato a Cannes quest’anno), e se va male non si potrà vedere neanche l’ultimo documentario di Frederick Wiseman “La danse – Le ballet de lopéra de Paris” che passerà in questi giorni a Venezia nella sezione Orizzonti, una delle poche cose veramente interessanti di un’edizione davvero priva di stimoli, esattamente come quella dello scorso anno, daltronde.

Se il discorso sull’autorialità si potrebbe applicare per un cinema che non si vedrà mai, cosa resta da fare per quanto riguarda Hollywood e i suoi canoni estetici? Si sta ritornando ad una progressiva alfabetizzazione del cinema riguardo all’utilizzo del genere come categoria estetica non da sovvertire, ma da seguire come ritorno ad una classicità perduta tipica degli anni d’oro della Hollywood anni ’40-’50? Le seire tv americane, da Dexter a Prison break, fino a Grey’s Anatomy, o 24 sono impostate sulla costruzione di mondi alternativi al cinema, che però dialogano con esso fornendo una chiave per accedere ad una nuova formula espressiva, quella della riformulazione di strutture narrative avanguardisitche che riescano ad interpretare il mondo mantendo saldo il rapporto con il pubblico. Innovare e disorientare lo spettatore senza accedere ad una prospettiva metafilmica, così da mantenere alta la tensione e l’aspetto ludico della vicenda.
Riguardo al cinema non si può notare come. nell’era del digitale, l’unica realtà produttiva “dentro” al cinema sia la Pixar, che innova riprenendo stilemi stilistici andando indietro a recuperare tradizioni di costruzione dei personaggi che conferiscono a questi film d’animazione un’aura mitica che utilizza il passato per interpretare il futuro.
Tra i cineasti più classici si notano cineasti come Paul Thomas Anderson che con There will be blood ha dato una prova di grandissima caratura estetica; Christopher Nolan che da Batman begins in poi non ha più sbagliato un film, con la vetta di The prestige, i fratelli Coen che sono ritornati ai tempi d’oro dei primi film con un capolavoro come Non country for old man. Infine merita una mensione J.J. Abrams, creatore di serie tv come Ally McBeal, Alias e soprattutto Lost (non ho visto nessuna di queste tre, ma riguardo alle serie tv è davvero impossibile riuscire a vedere tutto, perche se un film può avere una durata massima di due ore e un quarto o oltre, una serie tv è praticamente infinita e ci volgiono mesi per finire più stagioni, questo è il principale difetto della serialità: si va avanti all’infinito introducendo a volte vicende poco necessarie), ma figura anche come produttore di Cloverfiled e regista dell’ultimo immenso capitolo di Star Trek.
Paiono sbiaditi invece autori come Shyamlan e Soderbergh (il suo dittico sul Che è un insieme di cose buone e meno buone, cinema dall’impianto malickiano senza averne tuttavia il respiro).

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).