Il laboratorio L’Immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna compie l’ennesimo miracolo: riporta ad antico splendore il manifesto dell’espressionismo tedesco, Il gabinetto del dottor Caligari (Das Cabinet des Dr. Caligari) diretto da Robert Wiene. Torna in sala una versione colorata del film muto del 1920 all’interno dell’ambizioso progetto “Il Cinema Ritrovato”, già artefice della ri-messa in onda di The Great Dictator di Chaplin e Nosferatu di Murnau.

In senso generico l’Espressionismo indica una tendenza artistica che porta a forzare parole o immagini verso un’intensità innaturale ed eccessiva. Parlando di espressionismo nel cinema, la Germania la fece da padrona vivendo un periodo di lucentezza soprattutto nel primo ventennio del Novecento. Dalle numerose tendenze del periodo si possono ricreare essenzialmente tre filoni: l’espressionismo vero e proprio, il Kammerspiel e la Nuova oggettività e i più grandi autori del tempo operarono distorsioni “espressioniste” in tutte le loro opere, da Murnau a Lang, da Pabst a Leni. L’unico manifesto paradigmatico dell’Espressionismo in senso stretto è Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene girato nel 1919.

Il film vide la luce grazie all’investimento del produttore Erich Pommer , a capo della Universum Film, che contribuì allo sviluppo del cinema tedesco della Repubblica di Weimar, finanziando tra gli altri Il dottor Mabuse (1922), I Nibelunghi (1924), Varieté (1925), Metropolis (1927) e L’angelo azzurro (1930).

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Caratteristiche da cui non prescinde un film espressionista sono il recupero dei trucchi speciali del vecchio cinema delle attrazioni calati in una storia misteriosa e soprannaturale. Per ricreare i mondi allucinati dalle ombre fu fondamentale la scoperta del cosiddetto effetto Schüfftan, dal nome del fotografo Eugen Schüfftan, che permetteva la creazione di mondi virtuali a basso costo usando dei semplici cartoni ingigantiti dall’utilizzo ad oc di specchi. Gli scenografi del film di Wiene furono Walter Reimann e Walter Röhrig che guardarono ai modelli pittorici di Kirchner per drammatizzare scene e protagonisti, con i volti degli attori profondamente truccanti, soprattutto il sonnambulo che ha gli occhi cerchiati di nero. Le scenografie mostrano una geometria impossibile fatta di spigoli appuntiti, strade serpentine che diventano vicoli ciechi, ombre nere sovrane su tutto, molto ispirate al lavoro del futurista Enrico Prampolini per Thaïs di Anton Giulio Bragaglia. Il film è girato tramite lunghe inquadrature fisse con poco montaggio, a ricreare una sorta di bidimensionalità che unita all’effetto asfissiante dell’inquadratura ripiegata su se stessa, procurava allo spettatore dell’epoca un senso di terrore misto a stupore.

Il tema del doppio e della difficile distinzione tra allucinazione e realtà era un topos comune nell’Espressionismo tedesco, come anche l’uso di primi piani dall’effetto demoniaco e persecutorio, pesantemente truccati e sovraccarichi, l’uso esasperato di luci e ombre spesso proiettate con tagli orizzontali e usate metafisicamente come simbolo dello scontro tra bene e male, l’uso del fondale dipinto di derivazione teatrale che portò alla subordinazione dei personaggi alle scenografie, con attori caricaturali che trasformano il gesto teatrale in una smorfia.

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Tra i più famosi film d’ispirazione espressionista ci sono i capolavori di Lang Destino del 1921, Il dottor Mabuse del 1922 e Metropolis del 1927; il manifesto di Murnau, Nosferatu del 1922; Lo studente di Praga di Stellan Rye del 1913; La bambola di carne di Ernst Lubitsch del 1919; Il Golem di Paul Wegener del 1914; La strada di Karl Grüne del 1923 e Il gabinetto delle figure di cera di Paul Leni del 1924.

Al di là delle scelte comuni di ogni regista, angoli acuti, ombre marcate e recitazione spigolosa sono i capisaldi dell’Espressionismo. La fine del cinema espressionista è segnata da Metropolis di Fritz Lang nel 1927, con l’emigrazione dei grandi autori negli Stati Uniti o nei paesi dell’Europa più permissiva. Robert Wiene lasciò Berlino, recandosi prima a Budapest, dove diresse Eine Nacht in Venedig nel 1934, poi a Londra e infine a Parigi dove provò a produrre, assieme a Jean Cocteau, il remake sonoro de Il gabinetto del dottor Caligari.

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Età indefinita, una laurea e un master nell' armadio. Laureanda in Scienze dello Spettacolo e cinefila nostalgica. Ama Welles e Hitchcock, la fantascienza degli anni d'oro, il caffè e la pizza. Voleva entrare in una rock band, ma il cinema l' ha distratta. Le piacerebbe fare Colazione con Tiffany.