Nei primi giorni della Mostra veneziana i commenti parevano quasi in fotocopia tra i critici e il pubblico. I film proposti avevano lasciato ampiamente perplessi tutti quanti, con rare eccezioni. In modo particolare quelli del Concorso.

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Come spesso succede, però, i giorni successivi hanno capovolto il giudizio e la percezione di tutti (o quasi). La kermesse si avvia verso la fine (al momento di scrivere mancano solo gli attesi film di Abel Ferrara e Andrew Niccol e il nuovo lavoro del veterano Končaloskij) e la soddisfazione negli ultimi giorni è palpabile. Non tanto, secondo chi scrive, per la pattuglia italiana (il film di Saverio Costanzo è diseguale, a volte coraggioso altre indisponente; Il Giovane Favoloso di Martone ha moltissimi pregi, a cominciare dalla filologia e da Elio Germano, ma non riesce del tutto a non pagare pegno alla vulgata leopardiana), quanto per l’infornata di lavori ispirati e suggestivi venuti ad arricchire il Concorso. In ordine più o meno casuale ci sono piaciuti: il laconico A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence dello svedese Roy Andersson, popolato di figure patetiche e marginali che non trovano un posto nella vita e campeggiano in anguste camere ammobiliate o in osterie sempre uguali nei decenni; l’opera prima turca Sivas, sorprendentemente matura, che nel sodalizio tra un bambino e il suo cane da combattimento riesce a non cadere mai nell’ovvio; il remake di Tsukamoto del classico Fuochi nella Pianura di Ichikawa, truce e concitato, non tra i più sperimentali dell’autore, ma privo di ogni speranza sulla bontà della natura umana; Le Dernier Coup de Marteau di Alix Delaporte, sensibile ritratto di un adolescente ostinato nella ricerca di un rapporto con un padre difficile da avvicinare e una madre orgogliosa e malata; il notevole cinese Red Amnesia di Wang Xiaoshuai, che nel pedinare un’anziana donna alle prese con i suoi affanni tra figli e nipoti, dà uno sguardo molto amaro sui fantasmi e sul passato rimosso di una generazione.

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Ma la festa non finisce qui, dato che le altre sezioni continuano a offrire emozioni e conferme (oltre a qualche delusione: per esempio il Laurent Cantet di Retour à Ithaque, che pare aver perso la magica capacità di rivelare mondi nascosti dietro il muro dei dialoghi, come aveva fatto magistralmente nel bellissimo La Classe). Il 78enne maestro coreano Im Kwon-taek (autore in passato di Ebbro di Donne e di Pittura) con Revivre si dimostra tutt’altro che pago o senile nel tratteggiare un triangolo lui-lei-l’altra puramente ipotetico  e ostacolato da senso del dovere e pudore delle emozioni, con sequenze coraggiose e mai banali. Near Death Experience, dagli autori di Louise-Michel e Mammuth, è in realtà un one man show disperato, narcisista e insieme autodistruttivo del romanziere Michel Houellebecq, anche uno straordinario corpo da cinema, disturbante e ossessivo. Mentre la versione lunga (145′ la prima parte e 180′ la seconda) di Nymphomaniac di Lars von Trier arricchisce ulteriormente un’opera imprescindibile dei nostri anni con almeno una sequenza choc. Senza contare che la presenza in Sala Darsena di una carismatica Charlotte Gainsbourg con vestito in cuoio nero pare studiata per mantenere alta la provocazione di un film che gioca spudoratamente e vince, da qualsiasi parte lo si prenda, la sua partita con il cinema.

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Anche altre suggestioni ha offerto questo scorcio della Mostra veneziana, ma troppo lungo (e neppure indispensabile) sarebbe citarle tutte. Diciamo solo che la scommessa ci sembra complessivamente riuscita e che se non c’è per ora “Il Capolavoro”, il film che mette un po’ tutti d’accordo, lo vediamo come un caso o un motivo di curiosità molto più che come un rammarico.