Holy Motors

Un uomo gira in una limousine durante la notte, di volta in volta cambia il suo aspetto, in un viaggio visionario e folle.
    Diretto da: Leos Carax
    Genere: grottesco
    Durata: 115'
    Con: Denis Lavant, Edith Scob
    Paese: FRA
    Anno: 2012
8.1

Non c’è niente di  peggio di un cineasta-artista che dichiara fin dalla prima scena di non avere nulla da dire e dimostrarlo nelle successive due ore di durata del film.
E’ questo quello che emerge dalla visione del dispotico-distopico Holy Motors, l’ultima inconcludente operazione di cinema nichilista del regista francese Leos Carax, mostrando il suo attore feticcio Denis Lavant attorcigliarsi in 11 differenti personaggi, uno più manierista dell’altro, senza un briciolo di credibilità o di vergogna che dirsi voglia.

Nel cinema d’autore ci sono delle regole da rispettare, le quali servono ad evitare una deriva sensazionalistica che porti il regista ad approfittare del mezzo a disposizione, per tentare di portare il cinema in una dimensione che, se non si ha uno stile ben riconosciuto e forte, si corre il rischio di portare al naufragio quella che, a tutti gli effetti, si può considerare un panfilo pieno di crepe.
Holy Motors non è girato male, ha delle sequenze anche potenti visivamente, ma l’assunto, il motivo, la colonna portante che trasforma un insieme di buone idee messe là a casaccio, in un film con un suo senso ben preciso, quel motivo deve emergere, con una serietà e anche una lievità di toni, che si può dire, a Carax manchino del tutto.
Il cinema in Holy Motors sembra deragliare e sfuggire sempre di mano al suo regista-saltimbanco, Carax crede di essere Fellini, ma non ha capito che la leggerezza non significa gratuità e sberleffo fine a se stessi, visionarietà fuori controllo, nessun rispetto per dei personaggi buttati là nella scena senza un ordine che consegni alla memoria qualcosa di costruttivo e non solo il banale annichilimento distruttivo di un cinema che si diverte ad infliggere allo spettatore il vago colore pulsante di una canzonetta stridula ripetuta all’infinito che sembra solo il vagito di un vagabondo che non osa più toccare la vita, perché ormai se n’è andata.

Tutto il fumo di Holy Motors rasenta la noia e ricorda forse i road movies di Wim Wenders, con la retorica sulla incomunicabilità, il deserto dei sentimenti, come se il mondo fosse un grande nulla che non si riesce a spiegare. A questi artisti bisognerebbe ricordare di avere una storia da raccontare, per non fare la fine del Lynch di INLAND EMPIRE, cadendo così nella fuffa più irritante, mettendo in scena qualsiasi nefandezza, senza avere un barlume di dignità visiva, scambiando il film per una tela e il cinema per una galleria d’arte, dimenticandosi sempre di appoggiare una qualsiasi filosofia della visione.

Per Carax una linea politica vale l’altra, il regista francese mira a mischiarle tutte nella stesso film-parentesi. Creando solo una “bella confusione” e chiedendo allo spettatore di applaudire a scene incredibili solo perché nessun altro regista avrebbe mai osato girarle. Mi ricorda anche un certo cinema iconoclasta di Von Trier, come cinema provocatorio per il puro gusto di provocare.
Davanti ad una indigestione di romanticume d’accatto come quella di Holy Motors l’occhio può restarne ammaliato (ed ammalato) oppure rifiutarsi di stare al gioco. Chi scrive preferisce la pacatezza hegeliana di Sokurov. Lui si, un genio e un uomo con i piedi per terra.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).