Faust

Il Doctor Faust cerca l'origine della vita ed è esausto. Quando vede Margarete si innamora perdutamente di lei. Allora fa un patto con il Diavolo, che si presenta sotto le sembianze di un oscuro e mostruoso usuraio, per avere, per una sola notte, Margarete.
    Diretto da: Aleksandr Sokurov
    Genere: drammatico
    Durata: 140'
    Con: Johannes Zeiler, Isolda Dychauk
    Paese: RUS
    Anno: 2011
7.4

Ho tardato molto a scrivere sul Faust (2011) su Aleksandr Sokurov. L’emozione era stata troppo forte. Un film che due anni fa attesi come un’epifania, dopo l’ovvio Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia, a tutt’oggi, l’unico vero possibile Leone degli ultimi 11 anni.

Incontrovertibile Sokurov. Con Faust lancia la sua sfida, la sua invettiva, il suo progetto di cinema circolare, pesante, monumentale. E’ impossibile scrivere a mente fredda di un’opera così pura e priva di padri illegittimi.
Ci si pone davanti a Faust di Sokurov come quando si accende una luce su un paesaggio buio, incontaminato, aprendo una finestra su un mondo sconosciuto e pieno di protervie, arrivando a scoprire un luogo sotterraneo e dove i rimandi estetici risalgono fino all’esegesi ultima della divinazione figurale.
Sokurov dipinge. Lo ha sempre fatto nella sua carriera. E’ un cineasta che non ha mai scritto un suo film, un regista puro, che si affida agli script di Juri Arabov, sceneggiatore che ha scritto la maggior parte dei suoi film, tranne il meraviglioso Arca Russa (2002).
Un regista, Sokurov, che ha sempre lavorato sugli scarti temporali, sulla ridefinizione del genio insito nell’inquadratura.
Con Faust genera un’opera potenzialmente infinita che mette a tacere la critica e sconvolge il pubblico che, difatti, non ne capisce minimamente il genio. Essendo quasi incapace di ammirare il quadro.
La storia è fondativa di una mitologia impossibile di cui tutto si sa, ma i cui oscuri segreti sono ancora forse tutti da scoprire.
Il Doctor Faust stipula un patto con l’usuraio per aver il fiore di Margarete. Il Doctor Faust non dorme più, è affranto dai suoi dubbi sulla vita, sull’immortalità, sul senso della fine, sul senso dell’origine della vita e del mondo.
Il Doctor Faust cerca il soffio della vita e non lo trova. Trova invece l’origine del mondo, nel fiore di Margarete, nell’inquadratura del suo splendido pelo pubico dove è racchiusa come in un dipinto il famosidsimo dipinto L’origine del mondo di Gustave Courbet del 1866.
Una volta Rohmer disse: “se vi diranno che quella tal opera assomiglia ad un quadro, sarete liberi di scegliere tra l’opera che cita il quadro e il quadro stesso… non so che farmene di un surrogato”
Nel caso delle innumerevoli citazioni sokuroviane dalla Storia dell’Arte, da Courbet e Brueghel (tutto Faust è una ridefinizione invisibile del visibile brulicante di un dipinto di Brueghel), cosa si può dire ancora?
Il pubblicitario Melancholia (2011) di Lars von Trier cita anche più direttamente di Sokurov Brueghel, mostrando le opere dell’artista, in tutta la loro sfacciata essenza di dipinti di morte.
Sokurov non è così diretto e violento. Il suo inquadrare è più modesto, molto più umile e pastoso, essendo la sua definizione del Faust un monito hegeliano sul peccato della dialettica interna al quadro.
E’ molto pesante e indiretto il Faust di Sokurov. Forse la trama si perde tra le immagini e dopo un po’ non ci si fa neanche più caso. ma questo è un vero miracolo di regia. Il Faust di Sokurov è come un dolce naufragar d’intenti nel verbo dell'(in)verosimiglianza coperta dal velo della Storia.
Il Faust in alcuni momenti diventa un horror languido, con immagini di ominidi creati da una volontà superomistica di venerazione del pensiero puro.
Il superomismo indicato da Sokurov nella figura del Doctor Faust che vuole tutto, vuole scoprire i misteri di un mondo nascosto alla vista dell’uomo (“cosa sono le stelle?” gli chiede il gestore della locanda dove avverrà per puro caso l’omicidio da parte dell’usuraio, e Il Doctor Faust gli risponde con pacato cinismo: “sono solo corpi freddi”), vuole il candore di Margarete, la sua purezza, vuole il suo oro, la sua giovinezza, e questo suo continuo desiderio gli preclude, così, ogni apertura verso un fantomatico Dio della conoscenza.
Il Faust di Sokurov è come una Chiesa. Una cattedrale d’immagini incongrue e pensanti, che vengono tenute insieme da una regia nervosa che osserva, annichilisce lo sguardo, lo genera e lo lascia in balìa del dubbio.
Sokurov con questo film ha annientato il verbo della conoscenza. Facendolo suo in un’opera che si vorrebbe non finisse mai.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).