Le due vie del destino

Seconda Guerra Mondiale: nel 1942, in una Singapore occupata dai giapponesi, un prigioniero, il giovane tenente Eric Lomax, costruisce clandestinamente una radio. Viene catturato e torturato. Con la fine del conflitto Lorax ritrovata la libertà, vive con la moglie Patti. Un giorno scopre che uno dei suoi torturatori è ancora in vita e ha mantenuto viva la memoria.
    Diretto da: Jonathan Teplitzky
    Genere: drammatico
    Durata: 116
    Con: Colin Firth, Nicole Kidman
    Paese: AUS, UK
    Anno: 2013
5.5

In quanti film di guerra uomini e donne si comportano da “eroi” o da “codardi”, compiendo gesti assolutamente grandiosi o completamente biasimevoli? Ciò che avviene dopo la guerra, invece, non è stato indagato spesso. Ci hanno provato di recente alcuni film, ad esempio il passabile Treno di notte per Lisbona di Bille August (2013) oppure il bellissimo Nella valle di Elah di Paul Haggis (2007), ma in generale non è facile descrivere le cicatrici che la guerra lascia sui soldati, che si arruolino per libera scelta o per costrizione non importa: sono sempre pedine di un gioco più grande di loro, i cui ricordi diventano ben presto scomodi per i politici che, alla fine del conflitto, vogliono solo parlare di pace e riconciliazione. Le due vie del destino (The Railway Man, 2013) prova a trattare l’argomento, evitando di abbandonarsi a toni retorici o melodrammatici, ma cercando di essere il più veritiero e rispettoso possibile verso la storia raccontata.

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La pellicola è diretta dall’australiano Jonathan Teplitzky, che fino ad ora ha diretto solo film in patria, ed è interpretata da Colin Firth nei panni di Eric Lomax e Nicole Kidman nei panni della moglie Patti. Dopo Il discorso del re (2010),  Colin Firth ci offre una nuova interpretazione magistrale, forse addirittura superiore a quella che gli ha regalato l’Oscar. Eric Lomax è un uomo solo, tormentato dagli abusi subiti in guerra, di cui non riesce a parlare con nessuno. Solo dopo molti anni, arriva finalmente qualcuno – la moglie Patti – che lo sprona a superare quanto avvenuto in passato. Il percorso di Eric è un percorso assolutamente personale, che conduce non alla vendetta, come sembrerebbe all’inizio, ma al perdono.

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Attraverso il confronto, a distanza di circa quarant’anni, con il suo torturatore, Eric si rende conto che non è solo: perché quei segni indelebili che la tortura ha lasciato sul suo corpo e, soprattutto, sulla sua anima, sono pure presenti nell’anima del torturatore, che, compiendo quei gesti di indecifrabile violenza, ha spezzato per sempre la sua umanità. Un filo sottile lega, dunque, i due personaggi, un segreto che solo essi conoscono e che solo essi possono scegliere di portare alla luce.

THE RAILWAY MAN

Nonostante l’orrore, il film non ricerca il dettaglio della tortura, non lo rende l’oggetto dell’intrattenimento, ma, nella sua carica di drammaticità, trasmette un messaggio pieno di speranza, ancor più forte se pensiamo all’autenticità della storia: se un uomo torturato può perdonare il suo torturatore, allora non c’è nulla – nessuna guerra, nessun conflitto – che non si possa riparare, se si ha la forza necessaria e il sostegno da parte di chi ci circonda. E così, una storia tanto unica e personale come quella di Eric diventa un accorato esempio per tutti e uno straordinario inno alla pace.

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Ha un passione che sfiora l'ossessione per Il Signore degli Anelli e i musical.