Una fragile armonia

Alla vigilia di un concerto, uno dei musicisti del quartetto The Fugue annuncia la propria ritirata per una malattia, mettendo in crisi le relazioni tra gli altri che si complicano a tal punto da compromettere un’intesa di oltre vent’anni.
    Diretto da: Yaron Zilberman
    Genere: drammatico
    Durata: 105'
    Con: Catherine Keener, Christopher Walken
    Paese: USA
    Anno: 2012
7.5

Una platea di spettatori attenti e muti di fronte ad un palco che attende i suoi attori, il quartetto The fugue nella loro ultima esibizione. Il film Una fragile armonia si apre così, sull’ultima sequenza, o meglio la penultima, come se volesse costruirsi a ritroso, messo in scena di fronte a quella platea.

E dopo l’inizio, la macchina si poggia sui loro visi lasciando che la scena contempli gli sguardi ammutoliti, rasseganti, come dopo una battaglia in cui nessuno è vincitore ma in cui ci si ritrova a guardare i resti di qualcosa che un giorno era intatto.
Quattro protagonisti, quattro storie di musicisti che si intrecciano e si fondono perché ne emerga una melodia che pur sottolineando i caratteri di ognuno, li spinge ad andare oltre se stessi, per fondersi e completarsi a vicenda.
Alla sua prima regia, dopo aver diretto il documentario Watermarks, Yaron Zilberrman con Una fragile armonia, mette in scena un film che ha per tema un nucleo, un insieme e, sulle note dell’opera 131 di Beethoven, il film celebra la contemplazione, quella che i musicisti hanno l’uno per l’altra, per ciò che hanno saputo costruire, per la musica, in onore della quale ogni altra cosa è sacrificabile e quella per gli strumenti, accarezzati come parte di se stessi. Eppure anche oltre lo schermo, il gioco di contemplare sembra rimbalzare negli occhi di chi guarda, trasognanti e rapiti di fronte all’ idea che sublimemente il regista lascia che emerga: un’utopia.
Appare così il film, accarezzare con lo sguardo i movimenti, i suoni che si fondono e stridono gli uni con gli altri, arrivando a percepire il sogno, quello di costruire la perfezione, che per sua stessa natura appare impalpabile, fragile, tanto labile da perdersi in un soffio, ad una melodia mancata, come i rapporti che legano questi quattro musicisti.
Nel mezzo di una scenografia in cui dominano il bianco di una New York innevata che accoglie dei volti smarriti e rancori sopiti ed i marroni del legno degli strumenti, prolunghe di loro stessi, quattro personaggi dopo oltre vent’anni in cui si sono fusi l’uno nell’altro costruendo il proprio sogno, la musica, come un curioso effetto domino si vedono vacillare l’uno dopo l’altro mettendo in crisi la loro granitica unione, The Fugue, il quartetto che anni prima avevano fondato.
Un ultimo concerto, l’ultimo quartetto ed il preferito di Beethoven sembra attenderli, quello in cui, dopo l’emergere di vecchi rancori, di storie ormai finite ed amicizie messe in discussione, dovrebbe vederli ancora una volta mettere se stessi da parte perché la musica racconti ciò che loro hanno perduto, l’armonia.
Nessuna pausa, nessuno stacco previsto tra un movimento e l’altro per riaccordare gli strumenti né per riprendere fiato, così l’ultimo concerto diventa per loro la prova più attesa, in cui sono loro stessi e i loro accordi a doversi adattare l’uno all’altro.
Sugli ultimi quartetti di Beethoven Eliot disse: “Tempo presente e tempo passato sono forse presenti nel futuro e questo contenuto nel passato.
Se il tempo tutto è eternamente presente, il tempo tutto è irredimibile”. Predisponendo gli elementi, l’immediatezza, la perfezione e quella vulnerabile natura del tempo nella sua irreversibilità, Christopher Walken, da cui tutto ha inizio, recita queste parole e fa la sua comparsa in scena, continuamente in bilico tra la figura d’attore nel palco in cui è insieme a loro ed alla fine seduto in platea, pronto ad ascoltare i suoi compagni mettere in scena il loro sogno.

A proposito dell'autore

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Nata a Roma nel 1978, è laureata in storia e critica del cinema e scrive su diverse riviste del settore. Nel 2012 pubblica "The End - La Solitudine dello spettatore", edito da cinema sud, presentato alla Libreria del Cinema a Roma. Ama Billy Wilder, Max Ophuls, Almodovar e tutto il cinema di fronte al quale un semplice spettatore non può distogliere lo sguardo.